martedì 30 aprile 2013

teho teardo & blixa bargeld - mi scusi (2013)

teho teardo (vero nome mauro teardo) è un musicista e compositore originario di pordenone. la sua attività musicale inizia negli anni ’80 divenendo parte della scena industrial e avanguardistica italiana. dal 2000 si dedica prevalentemente a colonne sonore per il cinema e la televisione, grazie alle quali ha conseguito importanti riconoscimenti (fra cui spicca il david di donatello per il divo di sorrentino). blixa bargeld (vero nome christian emmerich) è un artista poliedrico originario di berlino. nel 1980 ha fondato gli einstürzende neubauten, una delle band più significative della scena industrial e, parallelamente, è stato chitarrista di nick cave & the bad sees per circa 20 anni. 
il 22 Aprile è uscito still Smiling, album composto a quattro mani, lavorando fianco a fianco per circa due anni. ad alcuni dei 12 pezzi, registrati tra roma e berlino, hanno partecipato la violoncellista martina bertoni e il balanescu 4et. La collaborazione tra teho e blixa nasce nel 2009 con lo spettacolo ingiuria e prosegue con la scrittura di a quiet life, brano portante della colonna sonora del film una vita di tranquilla con toni servillo. da una forte intesa artistica ed umana scaturisce la perfetta simbiosi di questo nuovo progetto, nel quale blixa canta in modo intenso e profondo spaziando tra l’italiano, l’inglese e il tedesco, mentre teho si dedica ad archi, elettronica e sperimentazioni.
il primo estratto dall’album è mi scusi, il cui video è diretto da chiara battistini. nel testo si parla dei limiti del linguaggio e della comunicazione, in particolare in un’altra lingua, tema che appassiona particolarmente blixa: “mi ha sempre affascinato la babilonia comunicativa – spiega l’artista tedesco - a volte è perché una nuova lingua suggerisce un gusto nuovo, può rappresentare bene un colore ed è sicuramente qualcosa con cui mi piace giocare. ho avuto come supporto un insegnante di dizione e l’aiuto di un esperto in germanistica che ha lavorato sulle metafore che volevo creare per esprimere quanto sia terribile il mio italiano e quanto questo mi dispiaccia. dopo aver scelto la musica però ho deciso di parlare delle lingue come un’estensione del corpo. quando si parla una lingua diversa dalla propria si cambia. È il nostro stesso corpo che cambia…”

mi scusi
mi scusi, mi scusino!
mi scusi come parlo
il mio italiano non ha fatto molta strada
me la cavo un po' così
non intendo offenderla
l'accento - quello no, non se ne va.
mi scusi la lingua, la parlata
scusi il mio italiano
è ancora giovane e inesperto
è che va così, si perde un po' sperduto
sul serio:
l'accento che non se ne va.
wer bin ich in einer andreen sprache?
kommen die metaphern mit mir mit?
mi scusi, mi scusino!
è così rudimentale il mio italiano
mi scusi, mi scusino!
è così rudimentale il mio italiano
facevo latino a scuola
a un livello cavernicolo; ciononostante
non intendo offenderla
l'accento - quello no, non se ne va.
kann ich in einer anderen sprache kuessen
tenere a freno la lingua
habe ich weiche knie?
le gambe mi fanno giacomo giacomo
wer bin ich, der in meinem koerper singt das lied?

lunedì 22 aprile 2013

il sindaco (quasi mono records/picicca dischi, 2013)

ogni giorno mi rendo conto sempre di più che restare seduto ad un pc ascoltando dischi in formato mp3, streaming lo-fi e diavolerie analoghe, magari attraverso casse da 10 euro, è una vera follia, praticamente la morte della musica. ho iniziato ad ascoltare il sindaco in questo modo e l’avrei archiviato, insieme ad altre decine di proposte musicali se la curiosità ed il destino non mi avessero fatto imbattere nel suo cd. inserito nel lettore, il suono è completamente diverso. intendiamoci, non sto annunciando il capolavoro assoluto nella storia della musica moderna, ma un onesto, piacevole, a tratti brillante, lavoro di artigianato musicale.
dietro il sindaco c’è fabio dondelli, bresciano, voce e anima degli annie hall, stimata band indie-folk con la quale ha pubblicato tre dischi. evidentemente, però, scrivere e cantare in inglese gli andava stretto, così ha deciso di uscire allo scoperto, confezionando un album lieve, da sfogliare come un diario trovato in soffitta, in cui la malinconia risulta addolcita. l’autore ci coinvolge nel suo quotidiano raccontando storie semplici, nate nei primi nove mesi di vita di sua figlia nina.
è un disco che dondelli ha scritto interamente da solo e prodotto con l’aiuto di lorenzo caperchi. lo ha registrato ospitando membri degli annie hall e dei le man avec les lunettes, giorgia poli (ex scisma), giovanni ferrario e gabriele ponticiello. oltre al pop rock anglofono e i folk singer americani, il sindaco è cresciuto ascoltando i cantautori italiani e si sente. il suo è un pop d’autore intimista ed ironico, che, tra ricordi ed interrogativi sul domani, trasmette emozioni da porta accanto e serenità d’altri tempi. la cura per le melodie è innegabile, le liriche convincono, soprattutto quando affronta temi personali.
tra gli episodi migliori sicuramente cose di casa (poi ricordi che cosa dicevano di noi due, credevano che saremmo durati un’estate, chi glielo va a dire adesso siamo diventati tre…), che ci regala echi beatlesiani e la ballata nostalgica la vigilia di santa lucia in cui, con delicatezza, ritornano i ricordi d’infanzia, di quello che lui stesso definisce “il giorno più generoso dell’anno”. struggente ed emozionante il pianoforte di adieu in cui fabio, tra le righe, ci fa intuire le sensazioni provate al momento in cui ha scoperto che sarebbe diventato padre. accattivante l’atmosfera folk in la canzone del sindaco, con l’armonica in bella evidenza e numerosi richiami a brescia. 

si sente che il sindaco è molto legato alla sua città, dove ha scritto e registrato tutti i brani, avvalendosi di musicisti-amici locali. lo si percepisce, ancora una volta chiaramente, anche ne la vita in centro, brano in cui troviamo con piacere il violoncello di daniela savoldi, e in aldo, delizioso quadretto acustico che racconta la storia di un noto personaggio locale che ha lottato per fare della musica la sua vita. il disco si chiude con italian tour, una specie di controinno alle elezioni, sottolineato dalle sonorità soft rock delle chitarre di ferrario.
in definitiva il lavoro si compone di una manciata di acquarelli che l’autore tratteggia con dolce leggerezza. una proposta musicale da cui il sindaco esce sicuramente con onore, pur lasciando spazio a margini di miglioramento. in fondo fabio dondelli è un uomo semplice: la sua ambizione è quella di diventare un novello peppone e governare un piccolo paese di 200 anime, in cui tutti lo riconoscano e lo trattino con benevolenza. alla luce di quanto ascoltato, non ci resta, quindi, che rinnovargli il mandato con fiducia…



recensione scritta per mescalina

giovedì 18 aprile 2013

arm on stage al teatro no'hma, milano 28 marzo 2013

il progetto arm on stage nasce nel 2008, in un casolare tra i colli sperduti del passo del sassello, dove, i musicisti ed amici, folco orselli, stefano piro, alessandro sicardi e claudio domestico si isolano, per 10 giorni, restando a stretto contatto con la natura. i quattro, con energia e coraggio, si trovano ad improvvisare e liberare idee. la loro è un'appassionata ricerca di un nuovo modo di fare musica, qualcosa che contenga le esperienze artistiche personali, fondendole in un inedito approccio alla composizione.
sette ore di registrato "di getto", a cui si aggiunge un intero anno di lavoro sui testi, teso a creare piccoli quadri che raccontino in modo evocativo storie interne ed esterne. 

nasce così l'album sunglasses under all stars, pubblicato nel 2010. segue un tour in italia ed un periodo in cui ognuno riprende a dedicarsi alle proprie attività soliste. di recente gli arm on stage sono tornati in una formazione riveduta: claudio domestico ha deciso di seguire altri progetti (gnut e tarall&wine) ed è stato inserito a pieno titolo nella band alessio russo, alla batteria. 
attualmente, dopo aver composto nuove canzoni, ancora nella casa isolata sul sassello, stanno completando la registrazione del secondo album. il tutto con l'apporto di lorenzo corti alle chitarre elettriche e paolo benvegnù alla produzione artistica, nello studio jork di dekani, in slovenia. il progetto si sta realizzando grazie alla raccolta fondi di musicraiser
il 28 marzo scorso, al teatro no'hma di milano, ho avuto l'emozionante opportunità di partecipare alla seconda delle uniche due date live prima dell'uscita del nuovo disco.
la location scelta per il concerto ha una storia particolare, che credo sia interessante condividere con voi. questo teatro, infatti, fino ai primi anni 90, era sede dell'acqua potabile. grazie all'ottimo lavoro di recupero urbano, salvando l'architettura industriale di un "luogo d'acqua", è stato creato uno spazio dall'atmosfera accogliente, aperto alle più diverse esperienze culturali e fruibile da tutti gratuitamente.
sono le 21 circa, accompagnato da una delle numerose "maschere", raggiungo la mia postazione, carico di aspettative e curioso di rientrare nel mondo immaginifico degli arm on stage. 
spente le luci, uno dopo l'altro, entrano in scena folco, stefano, alessandro e alessio. 
si parte subito con un pezzo da 90, il primo dei "viaggi" che la band si è concessa: the guardian. ballata dolce e malinconica, profondamente mistica; mentre l'ascolto mi tornano alla mente le parole con cui folco l'ha presentata: "ci siamo seduti in una stanza, fuori alberi e boschi. abbiamo immaginato un paesaggio interiore dove poter incontrare il guardiano della coscienza in un immutabile giardino. abbiamo cominciato a suonare. è un incontro con l'io più profondo, un abbraccio con se stessi, il primo pezzo che ci ha uniti…"
segue spiritual, forse il pezzo più solare di tutto l'album, in cui il concetto di alba, in puro spirito pagano, coincide con la ricerca di una luce che possa salvarci. dalle prime note, che propongono una melodia autentica ed originale, capisco e apprezzo la scelta della lingua inglese. mi sembra lo strumento migliore, sia per partire da un comune terreno vergine (visto che i singoli artisti, in precedenza, avevano sempre scritto in italiano), che per dare un piglio più aggressivo e meno descrittivo ai testi. la scelta è convincente perché, unita al timbro caldo e graffiato della voce di orselli, arricchisce un rock venato di progressive e psichedelico, donandogli un sound dal respiro decisamente internazionale.
folco, nel frattempo, presenta la band, spiegando che questa è l'ultima opportunità di ascoltare per intero il primo disco. dopo il concerto, infatti, partiranno per completare le nuove canzoni, ed il prossimo live, probabilmente a fine maggio, sarà dedicato alla presentazione ufficiale del nuovo album. 

è il momento di introdurre un primo ospite, fabio visocchi, che si occuperà del synth e dell'elettronica, ideale completamento delle atmosfere visionarie ed oniriche della band. 
in spider rain, una metaforica ed immaginaria pioggia di ragnatele diviene il contesto ideale per la rappresentazione di un mondo interiore popolato da negatività e cattivi pensieri. le trame elettroniche diventano una parte importante delle sonorità e si fondono perfettamente con gli altri strumenti, riproducendo con intensità il lato oscuro che ognuno cela dentro sé stesso. folco, a seguire, ci spiega che in desert coffee il testo racconta del sogno di volare su un deserto di caffè, quando all'orizzonte compare un iceberg… il brano sta per partire, ma è il momento del secondo ospite: domenico mamone, che, con il suo sax baritono, esplorerà altre sfumature di suoni, aggiungendosi alla già complessa architettura musicale dei cinque in scena.
arriva a questo punto la gradita sorpresa che tutti stiamo aspettando: un'anticipazione dal nuovo album, strong enough, brano che parla di riscosse, di cui tutti abbiamo bisogno in questo particolare momento storico. l'atmosfera iniziale è malinconica, quasi struggente "i'm blind but i'm strong enough, and i'm trying to do all my best, i'm tired but strong enough", ma gradualmente, si apre a nuove energie dal piglio decisamente rock. ci fa intuire che questo nuovo lavoro potrebbe orientarsi verso suoni più essenziali e "puliti", insomma un lavoro a "togliere", per arrivare in modo più lineare a chi ascolta. Si prosegue con i brani del primo album: the queen is gone, con il suo incedere quasi funky, esalta le sonorità del basso di alessandro sicardi e racconta di una "amica" cavalletta, divenuta assidua ascoltatrice durante i giorni di composizione nella ormai famosa casa sul sassello. mouse in a cornflakes box, pezzo cantato da stefano piro, racconta, come sempre in modo visionario, di un supermarket e dell'incubo di un topo dentro una scatola di cornflakes (ed infatti sul finale i miagolii "nemici" si sentono molto distintamente).

mi ritrovo piacevolmente spiazzato dalla capacità della band di tradurre in musica ciò che ognuno può vedere dentro sé, lasciando campo libero ai sogni e alla fantasia. rifletto un attimo e capisco che questa abilità è stata accentuata dal luogo in cui è nato il progetto musicale. ricongiungersi con la natura, abbandonarsi ai suoi ritmi fino a viverla in modo contemplativo, mi sembra ne abbia fatto una fonte d'ispirazione privilegiata per intraprendere un nuovo, stimolante ed inedito viaggio interiore, stavolta non singolo, ma di gruppo.
ormai mancano solo poche tracce per concludere la serata… gli splendidi suoni, valorizzati dalla resa acustica in sala, accompagnano il pubblico in percorsi onirici ed emotivi. il tutto grazie anche alla perfetta scelta delle luci e all'impeccabile direzione di tutta la serata da parte del regista del teatro, charlie owens
le varie anime del gruppo, le mille sfumature, si fondono magicamente, creando un amalgama di sonorità blues, funky, minimal jazz, classic rock e psichedelica anni '70. Impossibile non rimanere conquistati da un suono completamente avvolgente, impreziosito, per la serata, dall'aggiunta dell'elettronica e del sax che hanno regalato suggestioni davvero inaspettate.
nel finale, il pubblico, al massimo dell'entusiasmo, si lascia andare ad una, del tutto meritata, "standing ovation", che richiama a gran voce i musicisti per il bis. proprio di bis si tratta, perché, dopo una breve consultazione, si riparte con una nuova esecuzione di "spider rain" e "the guardian," in questo caso in una nuova veste, con la band allargata ai due ospiti. 

aggiungo una piccola postilla per menzionare l'attenzione massima a quello che succede in sala da parte dell'organizzazione del teatro. fotografi completamente assenti, divieto assoluto di carpire immagini o video anche attraverso i telefoni, che siamo invitati a spegnere prima dell'inizio del concerto. se qualcuno del pubblico, sbadatamente, estrae un cellulare acceso, i commessi, attratti dalla luce generata, si avvicinano immediatamente, invitando risolutamente la persona a riporlo in custodia, dove non può "nuocere". 
certo un po' mi manca non avere nemmeno un'immagine di una serata così intensa, non poter riassaporare la voce di folco che, in un perfetto equilibrio di sfumature, mi ha invitato a sognare ad occhi aperti…
rimane però una confortante certezza: la performance si è rivelata un ottimo aperitivo, ci ha consentito di verificare che gli Arm on Stage sono più vivi che mai, in forma smagliante, pronti a partire per una nuova, entusiasmante avventura. io, fin da ora, prenoto un posto in prima fila in una delle prossime date estive.


[articolo già pubblicato su keepon, solo musica dal vivo.]

martedì 16 aprile 2013

uno non basta - passi da gigante (2013)

antonio marcucci, (voce, chitarra e programmazioni), nico di marzio (batteria), domenico ragone (basso) sono i componenti degli uno non basta, trio romano electro-pop. per capire l'origine di questa band bisogna fare un passo indietro nella vita di antonio, in particolare negli ultimi 15 anni dedicati alla composizione di pezzi per altri: "scrivevo cose talmente personali che nella bocca di un altro perdevano valore e credibilità. è per questo che sono nati gli uno non basta, perché avevo delle cose da dire e volevo dirle io, senza intermediari".
marcucci vive fuori roma, completamente solo da 4 anni, dividendosi fra la casa e lo studio in cui nascono a computer i provini del gruppo.
i testi sono la sua valvola di sfogo, con cui a volte racconta il proprio vissuto ed altre fantastica, quasi sempre avendocela a morte con qualcuno. saturo del classico approccio piano e voce o chitarra e voce, attraverso il pc, si è aperto ad un nuovo mondo musicale. dall'incontro di diverse passioni che vanno dal metal estremo all'elettronica, passando anche per il pop, il rock e, non ultima, la musica classica, è stato creato un sound che il gruppo autodefinisce rock in electronic.
il loro esordio discografico è avvenuto nel dicembre scorso con l'album narciso dilaga, completamente autoprodotto. lo hanno intitolato così, come la canzone contenuta all'interno, per invitare la gente a riflettere, ad evitare il rischio di cadere vittima delle apparenze, del desiderio infinito di competizione, se non addirittura di immortalità.
passi da gigante, secondo singolo estratto, regia ndm, con un testo importante pone l'accento con intensità sulle difficoltà dei rapporti personali e sulla crisi di valori che spesso li caratterizza...
“continuo a chiedermi perché, se sei felice veramente, hai il bisogno di ostentare un passato tanto amaro invece di dimenticare...”


domenica 14 aprile 2013

tarall & wine - che tiempo fa (2013)

che tiempo fa è il secondo estratto dal brillante album d’esordio dei tarall&wine, “l’importante è ca staje buono”, pubblicato circa un mese fa. claudio domestico (gnut) e dario sansone (foja), napoletani doc, hanno unito le loro ispirazioni musicali dando vita ad un sodalizio perfetto.
il clip, realizzato dal videomaker “ufficiale” del duo, dario calise, rigorosamente in bianco e nero, è stato registrato durante l’esibizione live al programma radiofonico zazà* di rai radio tre
dolce, poetico, leggero, nella sua semplicità quasi disarmante, ci racconta di un amore forte e determinato, pronto, con il sorriso, a resistere di fronte a qualsiasi avversità. 


che tiempo fa

(claudio domestico-dario sansone)



quanne chiove mi arreparo dint' o' purtone
addò staje 'e casa tu
e te veco appriesso 'e panne spase e po' te ne trase
comme si bella pure cu 'e pezze dint' e capille
si troppo bella quanne faje 'a pazza e quanne strille
nun me ne 'mporta che tiempo fa
cu 'nu ddio 'e sole o cu nu patapata je torno cca'
je torno cca'
terra 'e fuoco o'sole 'ncap cocie 
ma è nu viento ca me porta a turnà sempe addù te
'nu guaglione sta pazzianne l'aria è doce ma a te nun te ne 'mporta
o forse faje a vedè
comme si bella cu l'uocchie tristi e je ca 'nzisto
si troppo bella quanne me cacce e po' m' astrigne
nun me ne 'mporta che tiempo fa
cu 'nu ddio 'e sole o cu 'nu patapata je torno cca'
e resto cca' 



che tempo fa**
quando piove trovo riparo sotto il portone 
dove abiti tu
e ti vedo impegnata a stendere il bucato, poi te ne rientri in casa.
come sei bella pure con degli stracci tra i capelli
sei troppo bella quando vai fuori di testa e quando strilli
a me non importa che tempo fa
col sole molto forte o con un temporale io torno qua
io torno qua
la terra arde e il sole in testa brucia
ma c'è un vento che mi fa tornare sempre da te
un ragazzino sta giocando, si respira un'aria dolce
ma a te non importa
o forse chissà, fai finta
come sei bella con gli occhi tristi e io che insisto 
sei troppo bella quando mi cacci via e poi mi stringi
a me non importa che tempo fa
col sole molto forte o con un temporale io torno qua
e resto qua


*zazà.
musicisti, scrittori, teatranti, registi, insomma artisti a tutto tondo, dallo sprofondo sud italiano, si ritrovano ogni domenica pomeriggio dalle 15 alle 16.45, in diretta presso gli studi rai di fuorigrotta a napoli. il programma prende nome dal personaggio della canzone napoletana di cui va in cerca isaia, reso famoso dalla graffiante versione proposta dall'indimenticabile cantante romana gabriella ferri. in questo spazio pubblico si da voce e visibilità a tutti coloro che contribuiscono a creare e mantenere alta la vitalità culturale della città.

**traduzione del testo a cura di nadia merlo fiorillo e silvio iaccarino

***
grazie a ellebi per il prezioso aiuto

****le foto ufficiali sono di alessandra finelli

venerdì 12 aprile 2013

campetty - the muffa forest (2013)

c'erano una volta gli edwood, band “indie rock” dai beat sintetici, che prendeva il nome da un film di tim burton: tre dischi in inglese all'attivo, tra il 2004 e il 2010. c'erano poi gli intercity, gruppo “electro” con testi in italiano con due album pubblicati tra il 2009 e il 2012. entrambe le formazioni erano guidate dai fratelli fabio e michele campetti.
ora questi gruppi non esistono più, ma i due fratelli stanno preparando un album con il loro nuovo progetto, che promette di essere molto personale, visto il titolo quasi omonimo: campetty.


in questa nuova avventura, con i fabio e michele ci sono paolo comini al basso e gian nicola maccarinelli alla batteria. il loro disco uscirà per la neonata etichetta bresciana orso polare dischi, “fatta di piccole cose familiari in tempi di crisi”, il 31 maggio, con il titolo la raccolta dei singoli. questo nuovo lavoro può essere considerato come l’evoluzione ideale di yu-hu, album degli intercity uscito poco più di un anno fa. i suoni saranno meno immediati, il disco sarà più eterogeneo, ma anche molto ricco dal punto di vista delle melodie e con testi che tratteggeranno situazioni in modo quasi cinematografico (come nello stile dell’autore). ospite d’eccezione nel disco, l’ex scisma sara mazo, in due brani. 
il primo singolo, the muffa forest, è decisamente eccentrico nei contenuti, delinea una serie di visioni bizzarre e probabilmente alcolemiche, quasi felliniane, concludendo con una citazione dal celebre brano di vasco rossi, ormai divenuta di uso comune…
vi propongo una versione acustica, live in studio; il video è diretto da paul mallory

the muffa forest
 mi bevo un litro di sangue, da te che sei per bacco,
una cometa, una rondine, un pensiero presente
 m’incuriosisce il fungo, una muffa diabolica
 allucinogeno a muschio, su nel bosco a conifere
 poi passeggiata a lago, a passo lungo e disteso,
scrocchiarsi le rotule, irrubostirsi le natiche
 con te prenoto un kilo di carne argentina, abbrus
tolita al rosso
 mischiata a vino fluente
 the muffa forest, i love you, the muffa forest, i love you
sarai in gonna speciale, con gli occhi verdi del mare,
truccata a festa lieve
a ritmo a-boreale, forse un temporale, estivo e carnale,
fatto di grandine, che ci spezza le timbriche
 ragazzi polemica sul nostro governo, che non ci aiuta a vivere,
ma ci lascia nell’essere
 ma tutto poi rinasce, come il sole al mattino, una cena perfetta,
noi due a contar le stelle
the muffa forest, i love you, the muffa forest, i love you
poi aumentare di colpo il proprio tasso alcolemico,
o forse andare al massimo,
 o meglio andare in messico


mercoledì 10 aprile 2013

l'orso - james van der beek (2013)

mattia barro, tommaso spinelli, gaia d'arrigo, giulio scarano sono quattro ragazzi che partendo da quattro storie e luoghi differenti (ivrea, milano, messina, treviso) trovano un punto d’incontro in un trilocale milanese. con delicatezza fotografano in musica l'essenza di una crescita, tra i vent’anni e la maturità. dopo tre ep ed oltre cento date fatte, finalmente arriva il primo album, omonimo, de l'orso: 11 tracce tra rivisitazioni del passato e nuove storie. brani pop in cui le rassicuranti tinte pastello si arricchiscono di nuove e più decise sfumature. anche le copertine testimoniano questa evoluzione: i colori leggeri e le mani dei primi tre ep, lasciano spazio ad un rullo, che dipinge la casa dello stesso colore del cielo e a lui la fonde (giordano poloni cura la grafica del nuovo disco). 
i testi sono poetici e moderni e raccontano delle difficoltà del passaggio al mondo adulto con i conseguenti fallimenti e tristezze e di come capiti spesso di andarsi a rifugiare nei ricordi del passato, pieni di malinconia, ma anche di sincerità. la loro musica è spensierata, leggera e allo stesso tempo non banale, ricca di contenuti che invitano dolcemente a ripercorrere il proprio cammino di evoluzione personale.
nel brano james van der beek si parla dell’attore omonimo (il dawson di dawson’s creek), che viene incoronato simbolo di questa generazione teen. protagonista è il concetto di un'adolescenza che bussa alla porta, qualcosa che – per quanto la si voglia scacciare – non può che ritornare.
il video, diretto da valentina dell’aquila, dura 1:37, interrompendosi proprio nel momento in cui, su disco, arriva la sorpresa, la voce che non ti aspetti, quella di pernazza dei magellano che conclude il pezzo donandogli una sensibile anima rap...

lunedì 8 aprile 2013

cesare malfatti - senza te (2013)

cesare malfatti, dopo aver fatto la storia dei la crus, fondato gli amor fou e seguito un'altra manciata di progetti, nel 2011 ha debuttato con il primo album a suo nome sembra quasi felicità, nel quale cantava e suonava tutti gli strumenti (i testi erano dell'amico alessandro cremonesi, che già scriveva per i la crus).
il 1° aprile è uscita una rielaborazione del disco precedente, intitolata due anni dopo, contenente un paio di brani nuovi, suonata con l’aiuto di un piccolo gruppo di amici: dodo nkishi, giovanni ferrario, manuel agnelli, vincenzo di silvestro, stefania giarlotta.


il disco si può ordinare via mail, direttamente a cesare.malfatti@gmail.com, e la copia arriverà, numerata, cucita e intestata personalmente; tutta un'altra suggestione rispetto alla versione digitale che si può acquistare su itunes…il video di senza te documenta le sessioni di registrazione effettuate al che studio di milano sotto la guida di tommaso colliva e carlo zollo. in questo brano, cesare suona l’autoharp, strumento piuttosto desueto a corde pizzicate (in genere 37), della famiglia dei cordofoni, variante dello zither austriaco.

senza te
(alessandro cremonesi - cesare malfatti)

troppe cose intorno a me
sono l'ombra di qualcosa che non c'è
il mondo ha perso la sua magia
da quando senza un cenno sei andata via
 se resisto non lo so
 e mi dico che qualcosa inventerò
non c'è niente intorno a me
 che abbia un senso senza te
 forse un giorno capirò
per adesso il mio alfabeto dice no
intanto aspetto perchè tu sei
la sola sillaba che io pronuncerei
non c'è niente intorno a me
che abbia un senso senza te

sabato 6 aprile 2013

il fieno - vincenzina e la fabbrica (2013)

vincenzina e la fabbrica è un brano che enzo jannacci compose per il film di mario monicelli romanzo popolare del 1974, pubblicandolo su 45 giri e inserendolo successivamente, in una nuova versione, nell’album quelli che… del 1975. il pezzo verrà poi reinterpretato da mina nel 1977 (nel disco mina quasi jannacci) e da luca carboni nel 2009 (in musiche ribelli). il testo descrive il rapporto degli operai con il mondo della fabbrica, attraverso il ritratto di una ragazza, emigrata dal sud, impegnata ad affrontare la realtà industriale.
il progetto il fieno nasce alla fine del 2010 nella provincia industriale tra milano e varese. con il primo singolo latito vengono selezionati da mtv italia nell’ambito del progetto mtv new generation. il primo ep omonimo viene pubblicato ad inizio 2012, segue, a fine gennaio 2013, l’ep i bambini crescono, di cui vincenzina e la fabbrica è il secondo singolo estratto. 
il fieno rilegge la canzone di jannacci con la dura sensibilità dei nostri anni difficili – i temi sono ancora attualissimi - e ne fa un pezzo rock, secco e deciso, di un’aspra morbidezza, disilluso più che mai, dolce e spietato al tempo stesso. il video è a cura di sylvia k, già illustratrice di amanda palmer (the dresden dolls), per un totale di 738 diapositive, disegnate a mano e montate in stop motion.
vincenzina e la fabbrica
(enzo jannacci)

vincenzina davanti alla fabbrica,
vincenzina il foulard non si mette più.
una faccia davanti al cancello che si apre già.
vincenzina hai guardato la fabbrica,
come se non c'è altro che fabbrica 
e hai sentito anche odor di pulito 
e la fatica è dentro là... 
zero a zero anche ieri 'sto milan qui, 
sto rivera che ormai non mi segna più, 
che tristezza, il padrone non c'ha neanche 'sti problemi qua. 
vincenzina davanti alla fabbrica, 
vincenzina vuol bene alla fabbrica, 
e non sa che la vita giù in fabbrica 
non c'è, se c'è com'è ?

giovedì 4 aprile 2013

toni bruna - baiamonti (2011)

toni bruna è lo pseudinimo dietro il quale si cela un "artigiano della musica", definizione a lui cara e che fa pensare alle cose semplici come la sua professione, il falegname. suona la chitarra classica e canta in dialetto triestino (o meglio, in ciò che oggi si può definire parlata istroveneta), perché per lui è l’unica lingua possibile, è quella che ha sentito da sempre in casa, la lingua del popolo. una scommessa che si rivela vincente, perché il triestino è esotico ed estremamente musicale. toni allora decide di osare proponendo dei live in posti inusuali, come i tram, le galleria di un treno, le piccole sale, il salotto di casa... l’esperimento funziona al punto che solo o con la band, arriva a portare la sua musica ben oltre trieste e i confini italiani, raggiungendo mete estere ambite come barcellona, san francisco e new york. il suo esordio discografico è del 2011, un disco autoprodotto dal titolo formigole (formiche), che viene venduto ai concerti o tramite il suo sito, bilingue: triestino e inglese. un disco particolare, pieno di anima, che potrebbe arrivare ovunque. 
dieci tracce che rivelano tutta la poetica originalità di questo cantautore che, per sua stessa ammissione, sogna una casa isolata sul carso, il più possibile autosufficiente, dove poter vivere bene con poco. avere tempo per fare musica, senza dover scendere a compromessi con nessuno, seguendo una strada che sia sua. l'ascolto dell'album rivela un mix affascinante di melodie che, spiega lo stesso toni, si è creato da sé, naturalmente, per una sorta di contingenza storico-geografica: sono figlio di esuli istriani, cresciuto a opčine tra gli sloveni e ho passato una parte molto importante della mia vita in america latina. sono un discreto esempio di bastardo, come la maggior parte dei triestini. gionata mirai ne rimane folgorato e lo chiamerà ad aprire il concerto de il teatro degli orrori, poi aprirà quello di edda, ed infine la loro etichetta, niegazowana, ripubblica il disco d’esordio di toni, con distribuzione nazionale, proprio in questi giorni.
baiamonti è il brano che apre il disco, abbozzando storie di gente comune, con sonorità che virano decisamente verso l'america latina. parla dell’omonima via di trieste che marca il confine est del quartiere degli esuli istriani. è un quartiere periferico ed industriale, sorto proprio per accogliere gli esodati, dopo la seconda guerra mondiale.
baiamonti
baiamonti, baiamonti fumigada
xe le sete e un quarto de matina
i bevi viski e le man ghe trema
xe i vetri onti
che no se vedi in strada
baiamonti
baiamonti
fumigada
drio la vecia pompa de benzina
ale nove sona una campana
che le vecie istriane le va in cesa
qua un esodo comincia ogni matina
te se lo trovi in piato a ora de zena
baiamonti
baiamonti
fumigada…


note:
baiamonti é una via di trieste che marca il confine est del quartiere degli esuli
istriani.è un quartiere periferico ed industriale della cittá sorto proprio per accogliere gli esodati dopo la seconda guerra mondiale.
xe: é, sono, c’é, ci sono. xe i vetri onti: i vetri sono unti, sporchi.
drio: dietro.
vecia: vecchia.
cesa: chiesa.
zena: cena.

martedì 2 aprile 2013

cosmo - ho visto un dio (2013)

lmarco jacopo bianchi, già cantante e fondatore dei drink to me, il cui ultimo album, s, è stato segnalato come uno dei migliori dischi del 2012 dal noto portale rockit, si mette alla prova con la lingua italiana. qualche mese fa si è cimentato con tre cover, un brano di battiato e due di battisti, solo l’introduzione verso il suo nuovo progetto solista: cosmo. Il primo album si intitola disordine e uscirà a maggio. in questo lavoro troveremo la tradizione musicale italiana rivisitata in chiave psichedelica e moderna, attraverso un microfono, due campionatori, synth e tanti effetti.
bianchi così spiega il passaggio tra i due progetti: “cosmo inizia laddove finisce "s" dei drink to me. sono il produttore artistico della band e molte scelte di sound le ho fortemente volute io. in questo progetto ci sono strascichi delle idee sviluppate in "s" con l'aggiunta di una componente più "estrema" a livello di produzione (estremamente pop, estremamente compressa, estremamente elettronica...)”
ho visto un dio è, più di un clip di un singolo apripista, un vero e proprio manifesto programmatico, che svela al pubblico le peculiarità e gli intenti di cosmo: mettere a confronto il pop di qualità e le sonorità elettroniche più in voga, cantando in italiano. il video, girato da gabriele ottino per il collettivo superbudda, ci avvicina ai tratti più psichedelici del pop di cosmo. il disordine regna sovrano, il confine fra cosa sia vero e cosa percepito diventa davvero labile. le ballerine, i toni accesi dei colori, il bosco, sono tutti elementi che ci immergono in uno dei tratti fondamentali di cosmo: il caos!

lunedì 1 aprile 2013

monaci del surf - apache (2013)

apache è il primo grande successo, pubblicato nel luglio del 1960, dagli shadows, gruppo inglese di rock strumentale guidato dalla celebre fender stratocaster di hank b marvin. la band nacque nel 1958, come gruppo di supporto per il cantante cliff richard. il brano rimase per cinque settimane al numero uno della classifica inglese e riscosse grande successo in tutto il mondo.
i monaci del surf sono una band surf rock, composta da tre musicisti mascherati da wrestler messicani, di cui non si conosce l'identità. la leggenda costruita attorno al gruppo narra che siano tre monaci tibetani partiti alla scoperta del mondo fino ad arrivare a città del messico. qui insegnano le loro arti marziali ad una piccola congrega di cristeros, come atto di riconoscenza ricevono in dono tre maschere da wrestler che scelgono di indossare per proteggere la loro identità. stanchi della violenza, decidono di abbandonare il messico scegliendo la via dell'oceano. una sera, tornati dalla spiaggia californiana, incontrano la leggenda del surf rock dick dale che, stufo della sua carriera in declino, dona loro il proprio plettro. da allora imbracciano una terza via, dedicata interamente alla musica, diventando i monaci del surf, contaminati dalle note positive del surf rock, come unico stile di vita. questa è una delle tante storie che circolano sulla loro nascita. ma loro riescono a raccontarla meglio senza parole. non si può essere sicuri di chi si nasconda sotto alle maschere, quello che è certo è che chitarra elettrica, basso e batteria sono gli strumenti preferiti dai monaci, filtrati e accompagnati da suoni elettronici che richiamano i vecchi film di fantascienza o ambienti da foresta amazzonica.

nel disco d'esordio, omonimo, pubblicato nell’aprile 2012, i tre musicisti rivisitano alcuni famosi temi cinematografici, qualche classico senza tempo, oltre a suonare alcuni temi originali scritti dagli stessi monaci.
il video di apache è diretto da mattia martino, giovane videomaker torinese, studente dell’accademia di belle arti. nonostante il clip sia digitale, è stato lavorato come se fosse analogico, perché non venga “tradito” lo stile vintage che caratterizza il suono della band.