giovedì 27 febbraio 2014

julia kent - tourbillon (2013)

"in casa mia pop e rock erano banditi - e per la verità non ne ho mai sentito la mancanza” così si presenta julia kent, originaria di montreal, ma arrivata a new york nel 1989. i suoi idoli sono tutti compositori classici, igor stavinskij in prima linea. quando poi comincia a studiare il violoncello, nasce l’amore per compositori contemporanei come arthur russell, che usano lo strumento in maniera anticonvenzionale. compone musica per teatro, colonne sonore (ha collaborato, fra l’altro alle musiche di this must be theplace di paolo sorrentino) e si dedica anche con passione ad una carriera solista. ha suonato nei johnsons, band di antony hegarty, che considera la quintessenza dell’artista, l’unica voce in grado di dare una forma alla sua musica astratta. ha collaborato con il william parker double quartet, per un progetto dedicato a jean luc godard.
lo scorso marzo ha pubblicato character, suo terzo album in studio, forse il lavoro più personale, in quanto influenzato soprattutto da uno stato emotivo interiore. l’ispirazione nasce dall’idea che noi tutti siamo personaggi (characters) nella narrazione della nostro vivere quotidiano, anche se non necessariamente abbiamo il controllo di questo racconto.
il disco diventa così l’occasione per parlare in musica delle svolte inaspettate che possono attendere ognuno di noi, lungo il percorso della vita. per rappresentare al meglio queste emozioni, julia si affida ad una musica senza confini ben definiti. i brani si sviluppano per “addizione”, grazie ad un procedimento tecnico vero e proprio, il looping (ovvero la riproduzione ripetuta di campionature musicali). l’elettronica è un elemento importante di questa creazione musicale a strati, tesa sempre a creare suoni che siano complementari o in contrasto con le qualità timbriche del violoncello.
quello che julia offre è un viaggio in cui sperimentazione ed intensità espressiva rimangono in perfetto equilibrio accompagnando chi l’ascolta alla scoperta di una mappa interiore, fatta essenzialmente di percorsi cupi, introversi, ipnotici. un’atmosfera a tratti inquietante, ma decisamente affascinante.
ecco un assaggio della magia che riesce a trasmettere, il brano tourbillon, accompagnato dalle affascinanti immagini del video creato da levin haegele...

mercoledì 26 febbraio 2014

barzin - to live alone in that long summer (2014)

barzin hosseini è un cantautore canadese di origini iraniane. da ragazzino, il primo strumento che ha posseduto è stata un'armonica. dopo di che, desideroso di formare una band con gli amici, si offre di suonare la batteria, visto che nessun altro vuole farlo. il suo progetto solista inizia nel 1995, quando individua nella chitarra le caratteristiche giuste per esprimere la sua sensibilità musicale. non esiste, tuttavia, uno strumento che lo possa definire in maniera esclusiva. la chitarra, la batteria ed anche il pianoforte, rimangono un mezzo per raggiungere il fine più importante, quello di scrivere canzoni.
il suo disco di debutto omonimo, composto intorno al 2000, viene pubblicato nel 2003. due sono i tratti che fin dall’inizio caratterizzano barzin, riconducendolo chiaramente alle sue origini iraniane: un tono decisamente malinconico, per certi aspetti anche tragico, e l’amore profondo per la poesia. le sue canzoni lente e struggenti esplorano il lato tranquillo del pop, in un percorso che, pur rimanendo personale, negli anni si avvale del contributo di diversi collaboratori che via via lo affiancano. fra questi spiccano, per rilevanza: mike findlay, suzanne hancock (voce femminile spesso impegnata in funzione di controcanto), sandro perri e tony dekker dei great lake swimmers. grazie all’apporto di questi musicisti il suono della sua musica si è via via colorato di nuove sfumature, pur rimanendo fedele all'estetica di tranquillità e minimalismo. le trame ambient hanno arricchito il cantautorato intimista con contaminazioni che virano fino ad un post-rock soffuso e malinconico. le melodie che si sono mantenute volutamente limpide e semplici, conducono in un'innocente, quasi stupita osservazione del mondo, prima interiore e poi esteriore. si è creato così un percorso che, attraverso uno stile essenziale, anche se arricchito da molteplici fascinazioni sonore, ha provato a colmare, diluendolo, quel senso di vuoto, quella “mancanza” che, secondo l’artista, accompagna la vita di ognuno di noi. il 3 marzo prossimo, a cinque anni dal precedente disco, uscirà in italia, su etichetta ghost records, il suo quarto album: to live alone in that long summer
lo stile, in questo nuovo lavoro, si evolve e pur rimanendo fedele alle caratteristiche sonore delle origini, abbandona il lo-fi degli altri dischi per concentrarsi maggiormente sulla qualità del suono. l’ambientazione è meno claustrofobica del precedente notes to an absent lover, ma le soluzioni compositive ne ricalcano lo stile disegnando, attraverso brani semplici ed intensi, un affresco di solitudine affettiva metropolitana. ad accompagnarlo in questo nuovo affascinante viaggio sonoro, tamara lindeman  (weather station) daniela gesundhet (snowblink) ed i già citati tony dekker e sandro perri (impegnato anche alla produzione). 
il titolo è stato ispirato da un verso del poeta israeliano yehuda amichai.
l'album è disponibile, nell'edizione internazionale acquistabile direttamente dal sito di monotreme records, anche in una speciale versione limitata (200 pezzi). questa comprende, oltre al cd ed al digital download, something i have not done is following me: un libro, assemblato a mano, di poesie scritte da barzin negli ultimi anni, con l'aiuto del poeta di toronto erin robinsong.
all the while è il primo video estratto dal nuovo lavoro discografico, diretto da jason yeomans e con la partecipazione di sarine sofair. struggente, poetico, con una fotografia dai colori rarefatti e malinconici, il clip immerge in un’atmosfera intima che sin dalle prime note diventa anche sinonimo di un percorso interiore narrato con delicatezza dalla voce di barzin. nella melodia chitarra, batteria, piano ed archi si incontrano con “leggera intensità”, accompagnandoci nel racconto del viaggio di una giovane donna che porta con se una valigia. il suo contenuto rimane misterioso per “tutto il tempo“ (all the while, appunto) ma è evidente in ogni fotogramma quanto il peso sia quasi insostenibile per la protagonista. da qui, prima lo sconforto e il pianto, seguiti da un momento di riflessione. quello sguardo triste ma determinato rivela tutta l’acquisita consapevolezza che dipende solo da lei provare a concedersi la possibilità di cambiare un destino che potrebbe sembrare già segnato. liberarsi della valigia gettandola in acqua con tutta la forza possibile, diventa così la metafora di un doloroso ma “liberatorio” ritorno alla vita, di un “risveglio del cuore“ atteso da tempo...
all the while
all summer your love burned alone
as you learned to love this world
all the while you wait for your heart
all the while you wait for your heart to wake up
did you lay down beside the girl
did you wait for something to change you?
all the while you wait for your heart
all the while you wait for your heart to wake up
empty rooms whisper your name
and the blank page it hides from strain
all the while you wait for your heart
all the while you wait for your heart to wake up






*la foto della copertina è di rebecca wood

**grazie a ellebi per l'aiuto

venerdì 21 febbraio 2014

francesco di giacomo [non mi rompete]

ero praticamente un ragazzino e il banco del mutuo soccorso suonava già da parecchi di anni. 
la festa provinciale dell'unità a milano si teneva ancora al monte stella e molti concerti si svolgevano nell'anfiteatro. 
in quell'epoca per me a fine agosto iniziava l'evento dell'anno: tutti i giorni suonavano artisti importanti e la maggior parte di questi erano gratis! 
arrivavo nel pomeriggio e seduto sul prato mi godevo il soundcheck, insieme a pochissimi altri fanatici. 
quel giorno, in particolare, l'atmosfera era proprio splendida, i musicisti giravano alla grande e la sua voce riempiva da sola tutti gli spazi... 
l'ultimo pezzo che provarono fu non mi rompete
poco dopo, quello che mi sembrava un omone enorme scese dal palco e si venne a sedere di fianco a me. 
in realtà non era solo il suo fisico a sembrarmi oltre la media, era la sua personalità, la sua presenza magnetica a rendermi immobile, vicino a lui. praticamente riuscivo a guardarlo solo di traverso, per paura di disturbarlo...
alla fine mi feci forza perché qualcosa dovevo portare a casa da quell'incontro e pensai all'autografo. 
non avevo di certo con me l'unico lp del banco che all'epoca possedevo ed allora recuperai il libricino con il programma completo della festa. 
la firma venne fatto così sulla pagina del concerto di quella sera, tra l'indicazione di un dibattito e la pubblicità di un ristorante regionale.
francesco andò a cena ed io rimasi in quella atmosfera fatata a godermi il tramonto. 
calò la sera e pian piano l'anfiteatro si riempì. 
alle 21:30 in punto iniziarono a suonare.e il concerto iniziò proprio così...
non mi rompete
non mi svegliate ve ne prego 
ma lasciate che io dorma questo sonno, 
sia tranquillo da bambino 
sia che puzzi del russare da ubriaco. 
perché volete disturbarmi 
se io forse sto sognando un viaggio alato 
sopra un carro senza ruote 
trascinato dai cavalli del maestrale, 
nel maestrale... in volo. 
non mi svegliate ve ne prego 
ma lasciate che io dorma questo sonno, 
c'è ancora tempo per il giorno 
quando gli occhi si imbevono di pianto, 
i miei occhi... di pianto.

martedì 18 febbraio 2014

cesare malfatti - una mia distrazione (2014)

cesare malfatti si è distinto nell’ambito della musica pop di classe, cofondando e condividendo il progetto la crus per quasi vent’anni, oltre ad essersi dedicato ad una serie di altri interessanti progetti (amor fou, noorda, the dining rooms, se’mbro). il suo debutto come solista è del 2011. quella intrapresa è una via nuova, con una predilizione per il lato più autentico ed “artigianale” dell’artista: non si tratta di autoproduzione ma, ecco la particolarità, i cd sono numerati, datati, intestati e spediti a casa direttamente da cesare. da fine 2013 è disponibile il suo terzo lavoro: una mia distrazione
lo spunto per il disco è nato da un concerto con il pianista e compositore milanese antonio zambrini, che ha ridisegnato la logica sonora di malfatti. possiamo proprio dire che con questo progetto musicale la canzone d’autore incontra il jazz. insieme a zambrini hanno suonato matteo zucconi al contrabbasso, riccardo frisari alla batteria, vincenzo di silvestro agli archi, stefania giarlotta ai cori. i testi, tranne uno del poeta vincenzo costantino, sono tutti di luca lezziero, compositore e scrittore che già aveva collaborato con i la crus. la “distrazione” di malfatti è rappresentata anche dalle fotografie, che scatta un po’ ovunque: a casa ma anche nei luoghi che frequenta per concerti o vacanza. il packaging del disco ne contiene nove, una per ogni traccia. le ha personalizzate creando un prodotto unico, facendole diventare cartoline completate con la stampa dei testi sul retro. la confezione è diventata così, allo stesso tempo, familiare ed inusuale, in totale sintonia con l’atmosfera intima che si respira ascoltando tutto il disco. 
la voce di malfatti confidenziale, sussurrata, quasi sensuale, è amplificata nella sua intensità da tonalità che si aprono raffinate e melodiche. il pianoforte, accompagnato anche da cori leggeri e suadenti, a sua volta si fa voce, donando un respiro ancor più ampio, solare e dolcemente riflessivo alla musica. 
la stessa suggestione scaturisce anche dal video della title-track dell’album. con le riprese di andrea martiradonna e il montaggio dello stesso luca lezziero, il clip dimostra come sia possibile, a volte, creare una fusione quasi perfetta fra parole, musica e immagini. le riprese in bianco e nero vedono protagonisti alberi secolari che si stagliano vitali verso l’infinito, in un cielo illuminato dal sole. all’interno di questa natura rigogliosa c'è un paesaggio rurale, dominato da una strada sterrata ma lineare, che sembra non finire mai, in cui la figura umana è quasi del tutto assente. il tutto sembra quasi voler rappresentare un percorso interiore di graduale, serena, crescita personale, possibile a patto di tornare in contatto con le nostre “radici”, troppo spesso disperse nel caos della quotidianità.
una mia distrazione
cammino nel sole 
il cielo è già blu
la pietra ha il colore 
di parole dette mai più
morirai di una mia distrazione 
cercherò di non farlo mai più 
non avrai nessun’altra occasione
e vorrei lo capissi anche tu 
è strana la luce
che porti con te
io ti osservo parlare
sei diversa, diversa da me
la risposta che non riesci a trovare 
sarà come se fosse già lì 
sembrerà di conoscerla bene 
ma vorrei che non fosse così
morirai di una mia distrazione
resterà così poco di te
non avrò abbastanza parole
per spiegarti davvero il perché