sabato 29 settembre 2012

il capitano cook intervista xabier iriondo

Xabier Iriondo, chitarrista autodidatta, sperimentatore, ricercatore, manipolatore di suoni con numerosi progetti all’attivo. Nel 2010 rientra in quella che Manuel Agnelli non esita a definire la migliore formazione degli Afterhours di sempre. A fine settembre 2012 pubblica, per Wallace Records, il suo primo vero disco solista: “Irrintzi”. Lo abbiamo incontrato al Carroponte di Sesto San Giovanni prima di un esplosivo concerto con gli Afterhours, dove, con grande disponibilità, mi ha raccontato un po’ di lui. 
Irrintzi vuole essere un omaggio alle tue radici. Quanto ha inciso e ti ha influenzato la musica tradizionale basca nella tua carriera musicale?
nella mia carriera musicale non saprei definirlo con esattezza, sicuramente nella mia persona perché ci sono cresciuto sin da quando ero bambino. Io sono di origine basca, mio padre era basco e, pur essendo nato a Milano, ho sempre passato quattro mesi all’anno circa là e continuo ad andarci tutti gli anni, avendo famiglia e amici. La passione legata alla musica tradizionale basca è qualcosa che mi accompagna come accompagna un pochino tutti i baschi. La tradizione folk è molto sentita, molto forte e i giovani suonano gli strumenti caratteristici in maniera classica. Alcuni li suonano anche in maniera un pochino bizzarra ed io ho sempre avuto queste sonorità intorno a me. Il suono del txistu che è una specie di flauto clarinetto, tum-tum, tamborra, la stessa txalaparta che è uno strumento molto primitivo, quasi ancestrale, che si suona ancora adesso con dei bastoni sopra delle assi di legno, alle feste patronali e non solo. Diciamo che ho sempre coltivato un background di certe sonorità, di certe melodie un pochino atipiche del panorama folk italiano. Non so poi quanto abbiano inciso realmente sul mio percorso. Soltanto in una forma più matura, negli ultimi 6-7 anni, ho iniziato a ragionarci non solo a livello emotivo, ma anche in modo più organizzato, sia artisticamente che musicalmente. Ho sentito la necessità di capire se potevo trovare dei connubi per inserire i suoni della tradizione basca nelle texture più sature di alcune mie sonorità.


La sperimentazione e ricerca sonora e' sempre stata una tua caratteristica fin dai tempi in cui entrasti a far parte degli Afterhours. da dove nasce questa tua passione?
Dall’infanzia. Sono stato un bambino e poi un ragazzo che amava provare, curiosare, osservare un sacco di cose che lo circondavano, per trovare poi un modo personale di utilizzarle ed applicarle. L’input che mi ha portato a suonare la chitarra elettrica a 17 anni è stato sicuramente l’impulso adolescenziale di voler stare su un palco, ma anche e soprattutto di giocare con questi suoni, con questi timbri. La chitarra elettrica è uno strumento che ha di per sé già più suoni di base perché ha più magneti che catturano il suono posizionati sul corpo dello strumento e attraverso tutte queste scatolettine colorate dalle quali fuoriuscivano sonorità che erano lontane dal bagaglio della chitarra a corde tradizionale. Questa cosa mi ha sempre accompagnato insieme alla voglia di giocare e sperimentare. 

Oltre ad essere un eclettico musicista e chitarrista sei anche un "costruttore" di strumenti particolari. ci parleresti di questi strumenti "preparati”?
Ad un certo punto del mio percorso, circa 12-13 anni fa, ho iniziato a sentire l’esigenza di utilizzare delle sonorità in maniera diversa. Non soltanto lavorare sul suono ma anche sulle tecniche che gli potevo applicare. Ho pensato che suonare la chitarra in modo non tradizionale poteva portarmi a delle nuove sonorità. Ricordo esperimenti legati al fatto di prendere la chitarra, sdraiarla ed usarla orizzontalmente, piuttosto che di cambiare le corde. Tutta una serie di esperimenti che si fanno agli inizi. Da lì è nato poi l’interesse di provare a lavorare in maniera intuitiva per costruire uno strumento ad hoc e l’ho fatto in occasione di un tour con Damo Suzuki. Un pomeriggio sono andato al brico center, ho comprato dei pezzi e mi sono costruito questo strumento molto primitivo con cui ci ho fatto un tour all’estero. Era una specie di prototipo che mi ha accompagnato per diversi anni e che conservo tuttora. Certo, un pochino improbabile e soprattutto poco utilizzabile, nel senso che non riuscivo a mantenerlo sempre ben accordato. Quando poi ho aperto il mio negozio di strumenti musicali ho sentito di nuovo forte l’esigenza di approfondire lo studio di uno strumento ad hoc, con cui potessi creare veramente tutte le sonorità che avevo in testa e che non riuscivo a tirare fuori da una chitarra elettrica tradizionale, con i pedali e l’amplificatore. Ho ideato uno strumento a 10 corde con un diapason molto più corto rispetto a una chitarra, una lap steel, implementando dell’elettronica al suo interno, quindi degli oscillatori, dei fad, facendomi costruire dei magneti apposta a mano (perché non esistono magneti a 10 poli) ed ideando praticamente uno strumento partendo da un disegno. Io non ho l’abilità di usare le mani e allora ragionandoci con un liutaio ho detto: “facciamo un disegno, lavoriamolo con una macchina che lo possa scavare, una macchina a controllo numerico e poi facciamo in modo che possa essere smussato e lavorato a mano”. L’ho fatto non soltanto per me ma anche per una serie di clienti che me l’hanno comprato negli anni di apertura del negozio. La necessità è venuta dal fatto di continuare a sperimentare e trovare dei nuovi modi di interpretare le sonorità che avevo in testa. Questo strumento riesce ad avere una gamma sonora timbrica che va da suoni molto più profondi del basso elettrico a suoni acutissimi quasi sintetici. Ho smesso per due anni e mezzo di suonare la chitarra quando ho ideato questo strumento perché non volevo applicare le tecniche della chitarra sullo stesso. Quindi ho detto: “ reinventiamoci e mettiamoci a giocare...”. Con gli afterhours lo uso pochissimo, solo in due brani dal vivo per poche cose, invece nella mia attività solista è lo strumento principale.

Sound Metak, tra il 2005 e il 2010 è stato un negozio laboratorio di strumenti musicali, ma anche un luogo di incontro di artisti e di idee con performance dal vivo. Com’è nata l’idea e perché ne hai interrotto l’attività?
In realtà la chiusura era prevista fin dall’inizio, si trattava un piano quinquennale. Io ragiono così nella mia vita. Ragiono a blocchi a idee a progetti e non immagino di andare avanti una vita a fare la stessa cosa, non mi interessa. Era dalla fine del 2003 che lo volevo aprire ci ho messo oltre un anno a trovare il luogo, a organizzare quel réseau di clienti e di fornitori soprattutto. Questi li ho conosciuti tutti di persona, volevo avere un rapporto diretto con loro, anche se venivano da molto lontano (dagli Stati Uniti al Nord Europa, Germania in particolare). Si andava dagli strumenti legati alla musica folk: monocorde, kalimbe, ecc. fino ad arrivare agli strumenti elettronici auto-costruiti: pedali per chitarra, sintetizzatori e via dicendo... Avevo in progetto di creare una piccola isola a Milano che offrisse uno spazio fuori dai generis. Una specie di scheggia impazzita nella quale potessero accedere artisti che proponevano suggestioni molto diverse: dal cantautorato all’hard core, alla musica elettronica, alla danza butoh, alle proiezioni video alle istallazioni. Il tutto rigorosamente gratuito, sia da parte dei fruitori che di coloro che venivano ad esibirsi. 125 performance in 5 anni, musicisti italiani e stranieri venuti senza alcun compenso, dopo che ho spiegato loro il mio tipo di progetto. Si è trattato di una “piccola bombetta da fare esplodere” per far capire quanto in realtà ogni spazio aperto al pubblico può rappresentare uno stimolo culturale. Penso ad esempio ad una pasticceria dove ci potrebbe essere un reading di violoncello e voce, è una cosa che all’estero spesso accade. Da noi invece è abbastanza difficile concepirla, ma ho visto che la mia iniziativa ha avuto un successo impressionante. Il negozio era pieno, ha davvero suscitato curiosità. Ho visto entrare e godere delle performance anche soggetti mai immaginati prima e di età che non mi sarei aspettato. Io vivo così, mi è piaciuto scardinare qualche cosa, se qualcuno ha recepito ben venga, se questo non è accaduto mi spiace.


Manuel Agnelli ha dichiarato che quella attuale e' la migliore formazione che gli Afterhours hanno mai avuto. e averti a fianco a lui sul palco gli da una carica particolare. Come hai vissuto questo ritorno? 
L’ho vissuto in maniera molto molto positiva. Sono d’accordo con Manuel, tutti noi pensiamo che questa formazione sia la migliore. C’è una carica speciale, un amalgama emotiva e di amicizia abbastanza unica. Credo che il disco nuovo che abbiamo composto contenga dei germi di energia particolare che hanno fatto sì che questa formazione abbia una resa speciale. Per me è stato davvero bello, interessante e molto semplice ritornare. Loro mi hanno chiesto se volevo collaborare soprattutto rispetto al tour in teatro. Ho detto che mi interessava ma non solo nelle vesti di chitarrista o solista ma portando i miei strumenti auto-costruiti e proponendo anche performance improvvisate. Questa proposta è stata recepita in maniera molto positiva, tanto che, nelle occasioni in cui abbiamo fatto gli spettacoli in teatro, iniziavamo così io e Manuel, io con gli strumenti e Manuel leggendo. Una novità stimolante sia per loro che per me. E da lì finito il tour in teatro ci siamo detti: ”perché non proviamo a immaginarci di fare qualcosa innanzitutto dal vivo? vediamo come ci troviamo. quindi… è tornato un po’ di rock’n’roll nella mia vita! Già continuavo a fare concerti rock con altri gruppi, altri elementi, però gli After sono la principale band di rock’n’roll che abbia segnato il mio percorso di vita non solo come musicista ma anche come appassionato, perché io sono anche cresciuto con loro . Nel corso degli anni la band ha conservato continuamente una media abbastanza buona e soprattutto dal vivo ha sempre sprigionato un’energia strafottente, non badando al volere del pubblico, del sistema, evitando un meccanismo in cui spesso le band di rock’n’roll finiscono col cadere.


Cosa ne pensi dell’attuale situazione musicale italiana, parlo in particolare della scena indipendente...
Secondo me la scena è molto florida, credo ci siano parecchie realtà nel sottobosco interessanti, nuove formule anche tra i giovanissimi. Come spesso accade però, ci sono anche tantissime energie sprecate, realtà che sono molto derivative. Fortunatamente, con il negozio, ho avuto la possibilità di toccare con mano questo movimento. Veniva molta gente a portarmi cd e quindi ho ascoltato tanti lavori particolari, di valore e anche bizzarri. Io sento che c’è grande voglia di fare, grande fermento. Il problema non è la qualità artistica delle proposte, ma tutto quello che gli ruota attorno. Questo fa si che, innanzitutto, un ragazzo che voglia coltivare questa passione, pur avendo anche delle buone idee, venga “smonato” da com’è il sistema, da com’è difficile poter fare il musicista in questo paese. Com’è possibile concentrarsi e applicare tutte le proprie forze ed energie in tal senso?! La questione è sempre: chi ce la farà? Chi sarà più forte ? Chi avrà alle spalle i sostegni economici maggiori per riuscire o chi prenderà il largo e se ne andrà all’estero a fare una serie di esperienze, si consoliderà e poi tornerà in Italia forte di questo?! Ci possono essere tante strade, ma trovo che ci sia valore, mi capita spesso di ascoltare proposte interessanti.

Personalmente mi piace molto il nuovo lavoro di Paolo Saporiti nel quale la tua presenza ha dato una notevole impronta al suono. Com’è nata questa collaborazione?
 Io e Paolo ci siamo conosciuti attraverso soundmetak. Lui è una delle persone che, nei cinque anni di apertura, è venuta due-tre volte a fare delle performance e concerti, anche con formazioni differenti. Per me lui è un autore di valore e un ottimo interprete. I live di Paolo sono molto belli, interessanti e toccanti. Riesce a creare proprio quel filo di collegamento tra lui e l’ascoltatore. Avevo già suonato in un suo mini di svariati anni fa alcune parti con i miei strumenti. Siccome siamo anche amici,ora gli è venuta l’esigenza di dirmi: “guarda Xabier, io vorrei fare un disco con delle sonorità diverse, con un mondo sonoro proprio completamente separato, lontano da quello che era il passato. Conoscendoti, ti chiedo schiettamente se avresti voglia di farlo…”. Ho ascoltato i brani, trovato delle soluzioni e costruito un telaio sul quale proporre questo cantautore con un impianto un pochino sporco, deragliato. Quindi ho suonato alcune parti e, soprattutto, ho mixato e prodotto il tutto. È un disco abbastanza internazionale un pochino fuori dagli schemi. Se tu arrivi con un suono e un’idea di arrangiamento abbastanza particolari puoi lasciare il segno, magari creando una nuove chiave di lettura delle canzoni di partenza.



Tra le decine di progetti a cui hai partecipato, spesso da protagonista a quale sei più legato?
Come si può dire qual è il bambino preferito tra i figli che hai? Tra le realtà più importanti del mio percorso musicale ci sono senza dubbio gli Afterhours, visto che ci ho suonato per tanto tempo e tuttora ci suono. Poi, probabilmente del passato, i Six Minutes War Madness e The Short Apnea sono le realtà che mi hanno formato in un senso non rock’n’roll abbastanza unico. Di quelli degli ultimi anni senza ombra di dubbio ricorderei gli Uncode Duello, the Shipwreck Bag Show e NoGuru. In realtà sono veramente tanti, ma se dovessi comunque delineare delle linee guida del mio percorso, sia nell’ambito rock che in quello più avanguardistico, confermerei di sicuro i nomi appena detti. Ci sono poi state tantissime cellule impazzite e anche progetti molto piccolini che mi hanno dato soddisfazione. Sicuramente però, il fatto che non li abbia portati avanti, nel bene e nel male, sig
nifica che non erano le scarpe precisissime nelle quali volevo stare.

Un tuo consiglio a chi vuole fare della musica la sua professione?
Fare tante esperienze lontano da questo paese. Andare a suonare per strada, facendo il busker, provare esperienze in ambiti musicali diversi, andare nelle nazioni dove la musica pop moderna è nata, come gli Stati Uniti e l’Inghilterra. Spingersi anche in luoghi lontani: penso all’Oriente, all’Africa dove ci sono un sacco di possibilità per apprendere nuove suggestioni che ci stacchino dai nostri schemi e sistemi musicali.
Fare un viaggio in India per imparare cos’è la musica indiana potrebbe aprire tantissimo la mente perché s’incontra un sistema di vita e cultura basato su altre regole. Io direi quindi di viaggiare, conoscere più persone, fare il maggior numero di esperienze possibili e poi consolidare la propria idea, il proprio progetto, la propria personalità. Non è importante suonare, suonare lo può fare chiunque! Avere qualcosa da dire nel senso artistico del termine è la cosa più complessa e difficile. Per fare in modo di consolidare sé stessi rispetto alla propria idea progettuale è indispensabile fare tanta esperienza confrontandosi con gli altri. Questo da anche la possibilità di sviluppare una maggiore capacità di autocritica. Se sei sempre da solo e circondato da persone che ti ripetono:”quanto sei bravo, mi piace quello che fai!” finisci col costruirti un altarino. Invece se ti confronti e vedi che nel mondo ci sono proposte talmente varie e di sicuro superiori alla tua, può nascerti lo stimolo per cercare e creare cose nuove, più uniche, più vere…
Cosa c’è nel futuro di xabier iriondo?
Innanzitutto cercare di vivere più anni possibili per potermi godere la mia vita, mia figlia, mia moglie,le mie amicizie, poter viaggiare molto e, se fosse possibile, suonare talmente tanto e a lungo da realizzare tanti progetti diversi…

Carroponte, 18 settembre 2012

james cook wash here!


*foto di Thomas Maspes
*grazie per la preziosa collaborazione a multi filter e ellebi.

articolo pubblicato su just kids Webzine #1


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