sabato 28 luglio 2012

amor fou - 100 giorni da oggi (universal, 2012)

seguo gli amor fou dagli inizi e nutro una grande considerazione per i musicisti in continua evoluzione, che tengono viva l'attenzione dell'ascoltatore e cercano di spiazzarlo prendendo strade sempre nuove. in realtà gli attuali percorsi degli amor fou, hanno molto più di quello che sembra in comune con la loro storia, ma procediamo per gradi...
nel 2007 con la stagione del cannibale (homesleep) gli amor fou ci raccontavano la società italiana degli anni '60 - '70, con suggestivi riferimenti estetici, letterari e cinematografici. nel 2010, con i moralisti (emi),  l'attenzione si focalizza su alcune storie personali, sempre molto legate alla realtà del nostro recente passato. in entrambi i dischi, con le dovute differenze, l'approccio è tipicamente cantautorale. 
nel 2012 si cambia completamente passo e si arriva, con 100 giorni da oggi (universal) ad un electro-pop di grande impatto, un sound ricco e potente che avvolge l'ascoltatore coinvolgendolo completamente. si, perché il disco, superate le perplessità iniziali sull'imprevista evoluzione dei suoni, ti si attacca addosso e non ti lascia più. dentro ci sono 13 canzoni pop estremamente comunicative, un suono internazionale infarcito di elettronica che parte dall'afro-beat ed arriva all'attualità. i testi parlano di quello che succede intorno a noi, visto dagli occhi di un trentenne molto attento al presente. per il lancio si è puntato ancora prima di fare ascoltare la musica, sulla comunicazione visiva con un tumblr carico di gif animate, per dimostrarci che i tempi sono cambiati, che i ritratti in bianco e nero sono superati ed è ora il tempo di animazioni colorate, di esplosioni e di immagini sgranate.
il disco parte subito forte con gli zombie nel video di thriller, un brano pop con una base semplice ed una distorsione che si rivela perfetta per creare la tensione giusta e poi esplodere nel finale con un coretto di bambini.
si prosegue con alì, il primo singolo con un gran ritmo dance ed un messaggio chiaro nel testo: nonostante i tempi difficili i trentenni di oggi hanno ancora voglia di divertirsi e di fare l'amore. il brano in rete è accompagnato da un video ricco di belle immagini dove si mischiano simboli religiosi e corpi femminili al limite dell'erotismo fetish. il tutto curato dal collettivo del fantomatico sterven jonger che si è occupato anche dell'artwork e della copertina del cd. 
il pop carico di elettronica prosegue senza sosta: in goodbye lenin, che prende il titolo dal film di wolfgang becker del 2003, trasportando la scena sulla luna, dove un astronauta americano non vuole fare più ritorno sulla terra. 

in vero, con un testo sillabato che dipinge ancora una volta scenari di immaginario giovanile. e poi ancora liriche che raccontano di libertà sessuale (una vita violenta), erotismo inesperto fatto più di volontà che di azione (i 400 colpi) e senso di colpa da morale cattolica (padre davvero). si prosegue con riflessioni autorali sulla società contemporanea ed i social network (la primavera araba - dove compare la voce di davide autelitano dei ministri), sui conflitti e la politica italiana (le guerre umanitarie - dove le chitarre si fanno più aggressive). i volantini di scentology invece prende spunto da un ricordo d'infanzia di alessandro raina per presentarci dati statistici, alternando le immagini dure a quelle poetiche. ancora cori di bambini ed abbondanza di sintetizzatori in forse italia per arrivare al pugno in faccia di radiante: 55 secondi in cui alessandro baronciani, fumettista e leader degli altro porta le sue sonorità punk esplosive. si chiude con tigri (the song), l'unico pezzo dove appaiono chiaramente immagini del continente nero, che pian piano assumono toni psichedelici. suggestioni sicuramente nate dal lungo viaggio in africa con cui si è misurato alessandro raina lo scorso autunno.

questi sono gli amor fou di oggi: 4 ragazzi che preferiscono rischiare. sorprendono, stordiscono ma alla fine convincono! alessandro raina, leziero rescigno, giuliano dottori e paolo perego mettono da parte il grigiore e la seriosità dei loro dischi precedenti per un mondo colorato di elettronica, mantenendo comunque un sottile collegamento rappresentato da testi più semplici ma sempre con una linea ben lontana dalle banalità, guardando contemporaneamente al passato e al futuro. un'altra novità la vedremo a partire dai concerti estivi dove, per rendere meglio i suoni sintetici, sui palchi ci sarà anche il tastierista, dj, remixer michele marchetti (STR△).


il tumblr degli amor fou



articolo pubblicato su REvolution Rock #9, 
la webzine di diavoletto netlabel 
http://issuu.com/diavolettolabel/docs/revolution9

venerdì 20 luglio 2012

il Capitano Cook intervista i Calibro 35

i calibro 35 sono un gruppo cui sound si è ispirato dalle colonne sonore dei film di genere poliziottesco tipici dell'italia degli anni settanta. nati come side project di quattro musicisti impegnati nelle loro attività e coordinati dal produttore tommaso colliva, sono cresciuti fino a diventare una delle formazioni di punta nel panorama indie italiano. La loro formula è riuscita spesso ad ottenere consensi anche all’estero. il 10 luglio è uscito negli stati uniti la versione internazionale del loro ultimo disco intitolato any resemblance to real persons or actual facts is purely coincidental. li ho intervistati per revolution rock prima di un concerto del loro tour estivo. ne è uscita una chiaccherata informale al fresco di una bella villa d'epoca.
      la band nasce nell’estate di 5 anni fa come un progetto in cui far convergere le passioni musicali e cinematografiche di 5 musicisti, nei loro ritagli di tempo. dal 2007 ad oggi, le cose sono cresciute parecchio. i calibro35 del 2012 sono gli stessi o le loro ambizioni sono un po’ cambiate?
diciamo che adesso cerchiamo di ritagliarci una vita al di fuori dei calibro 35 perché è diventato un impegno quasi a pieno. se  il progetto era nato come puro divertissment adesso in qualche modo è il progetto principale di tutti noi…
     voi abitate in zone diverse d’italia e per parecchi mesi all’anno siete impegnati in altri progetti. come avviene normalmente il processo creativo dei vostri brani?
non c’è una metodologia precisa. Di base quando ci sono dei brani un pochino più a forma song è max che li porta praticamente già completi di tutto. perché max è dei calibro 35 il polistrumentista reale: suona batteria chitarra basso tastiere e l’ho visto suonare anche i fiati. quindi fondamentalmente capita che i brani che vengono presi anche un po’ come hit, tipo uh ah brrr o convergere in giambellino siano scritti da lui. e poi ci sono procedimenti di scrittura collettiva: soprattutto nell’ultimo disco abbiamo fatto un bel po’ di roba nata da delle sessioni di improvvisazione che, essendo persone abbastanza disciplinate non diventano mai fumose, riusciamo a dargli una forma abbastanza bene. e poi ci siamo comunque anche luca e io (enrico) che portiamo le nostre idee e a volte dei brani. i procedimento è questo e poi c’è tommaso dall’altra parte del vetro che fa un lavoro di cernita, di scelta, di sistemazione, esprime il punto di vista esterno del gruppo. essendo però lui stesso del gruppo non è il classico punto di vista di un fonico che ti registra ma è la tua coscienza…
     il vostro ultimo disco è stato registrato a new york,  set naturale di migliaia di film, ed in particolare a brooklyn, zona in cui vivono parecchi italo americani. è una coincidenza o è un fatto voluto?
è stato un fatto abbastanza voluto quello di andare in america a registrare il disco. ci hanno invitato per il south by southwest che è un festival in texas abbastanza importante e abbiamo approfittato del giro per fermarci una settimana a new york dove c’è la nostra etichetta nublu che ci stampa i dischi in america e per metterci a vedere quello che poteva succedere. l’anno prima proprio nel quartiere di brooklyn avevamo fatto un’altra session in cui abbiamo registrato un paio di brani che non sono finiti nel disco ma che erano di chiara ispirazione italo americana. un pezzo si chiamava broccolino funk proprio per chiamare brooklyn come lo chiamavano nel padrino gli italoamericani e quelle suggestioni di cui parli sicuramente sono entrate nel disco e già solo il fatto di stare tutti insieme per un po’ di tempo in un posto, noi che di solito non ci stiamo quasi mai se non per le date o per vederci un giorno per fare una session di registrazione, è stato un po’ regalarci un disco da band vera. dal punto di vista concettuale è stato forse il primo disco in cui abbiamo fatto proprio la dinamica da band, in studio una settimana senza distrazioni, per tirar fuori i pezzi e sicuramente l’america ci ha fatto abbastanza bene.
     sembra che in questo studio ci sia stata la possibilità di divertirsi parecchio utilizzando strumenti che non è facile trovare negli studi italiani. avere a disposizioni questa enorme ricchezza sonora ha facilitato il vostro lavoro?
non vorrei adesso far diventare l’america più mitologica di quanto è. in italia si trovano studi in cui ci sono strumenti come quelli, ce ne sono tanti. oltretutto gli strumenti, in particolare le tastiere che suono io (enrico), molto spesso sono di produzione europea e non di produzione americana. l’italia negli anni 70 era la cosiddetta corea dell’europa: la eko, la farfisa, la bontempi, gli amplificatori binson che noi usiamo, sono tutte marche italiane, che sono conosciute nel mondo perché erano qualitativamente e artigianalmente molto interessanti. in quello studio c’era tantissima roba interessante però anche in italia ci sono posti così. la differenza è che a new york c’era un bilanciamento tra luogo, materiale a disposizione, ambiente geografico e clima che noi respiravamo che ci interessava. non era perché c’erano tanti giocattoli, non soltanto per quello almeno...
      il cosiddetto sogno americano è ormai una realtà per i calibro 35, visto che ci avete suonato in numerose occasioni e i vostri dischi vengono regolarmente distribuiti negli stati uniti. in particolare il’10 luglio è stata pubblicata l’edizione americana di "ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale". cosa rappresenta per voi l’america e cosa c’è di diverso nei concerti americani?
l’america è un posto dove siamo andati più volte ma non abbiamo mai fatto il tour de force che fanno spesso le band, cioè l’est west coast. un classico è andare lì e farsi un mese di concerti ovunque: dal club frequentato e cool all’equivalente di un karaoke a rimini in italia. noi siamo stati abbastanza fortunati perché abbiamo fatto sempre cose molto mirate: siamo stati a los angeles in una radio piuttosto importante, a new york abbiamo subito trovato un’etichetta che poi ci ha dato molto e di fatto ci fa anche da base operativa: quando noi andiamo a new york ci aiuta molto a fare delle cose. per adesso è un posto dove abbiam visto che tutti i semini piantati crescono molto bene al di là del mitizzare il posto. per quanto riguarda i concerti onestamente è difficilissimo dire se un pubblico è caldo o è freddo. quello che un pochino si percepisce di più sicuramente è una maggiore frequentazione. la gente è più abituata alla figura del musicista e a rispettarlo come un lavoratore qualsiasi. molti falsi miti dell’america li abbiamo sfatati: ad esempio il fatto che l’america chissà che locali ha. da noi spesso siamo messi molto meglio. noi facciamo soundcheck di ore mentre in america spesso non si fa nemmeno. qua noi prendiamo dei cachet garantiti mentre in america prendi, nella stragrande maggioranza delle volte, solo sulla base delle persone che entrano ai concerti e quindi la promozione dipende da te. il locale mette a disposizione la sala e ti dice se viene gente si suona se non viene arrivederci e grazie. questa è un’ottima lezione e capisci perché le band tendono a essere tutte molto toste, perché c’è una grossa competizione e comunque a farsi un mazzo così anche fuori dal palco a far parlare della band a portare gente. per il resto quello che vediamo è che gli show quando noi suoniamo bene funzionano a istambul a new york a milano o a frosinone, insomma dipende sempre un po’ da noi…
      enrico gabrielli suona uno strumento che ha l’aria molto vintage e personalmente mi affascina molto: l’eko tiger. immagino che non sia solo una questione estetica ma riguardi anche la ricerca di certe sonorità che sono un po’ il vostro marchio di fabbrica…
l’eko tiger è uno strumento di tanti organi giocattolo di quegli anni lì. quello che ho io è un modello dell’ottobre del 70, credo sia il primo modello. è uno dei tanti organi italiani di quell'epoca di carattere domestico. erano organi fatti per stare in casa, in qualche chiesetta o veniva portato in qualche festa perché non era un vero organo da concerto. il tiger è uno strumento che non si usava dal vivo mai. in quegli anni lì su utilizzava l’hammond o cose ben più elaborate. credo che, per un musicista degli anni 70 vedere il tiger suonare, sia più o meno come per noi vedere una casio, una tastierina casio giocattolo. tant’è che è uno strumento molto economico lo trovi su ebay in qualsiasi formato in qualsiasi foggia in qualsiasi modello a pochissimi soldi. la peculiarità è che è uno dei pochi organi che mi è capitato di avere tra le mani e che porto dal vivo che come resistenza, suono, gestibilità e reale efficacia è imbattibile rispetto a tanti altri organi di quel genere lì che mi è capitato di avere. ho provato a utilizzare un farfisa e degli altri prodotti simili ma il tiger è davvero incredibile.
     avete partecipato a diverse iniziative legate al cinema, suonato in parecchi festival e avete fatto anche alcune sonorizzazioni dal vivo. qual è il progetto che vi ha dato più soddisfazioni?
è difficile in realtà perché il bello di suonare in calibro è proprio il fatto che ti permette di fare tutte queste cose. in realtà ci sono state tante cose belle che abbiamo fatto, da quando abbiamo suonato insieme alla sun ra orchesta a istambul quindi un concerto, a quando ci hanno chiamato al mito a sonorizzare the racket, penso il primo gangster movie della storia statunitense. quindi è molto difficile scegliere perché in realtà proprio per il fatto che il progetto può muoversi in diverse direzioni è bello fare tanto una sonorizzazione quanto un live in radio senza batteria, usando come amplificatore un pacchetto di sigarette. penso che sia proprio questa molteplicità di strade che rende calibro 35 un progetto interessante anche e soprattutto per chi ci suona.
      per la promozione e la comunicazione puntate molto su internet ed i social network. siete soddisfatti di questo contatto diretto con i fan e dei risultati che fìno ad ora ha portato? se non erro la versione digital download del disco nuovo è andato molto bene…
noi abbiamo fatto questo digital download del disco perché abbiamo investito tanto sulla comunicazione diretta con le persone e quindi da un certo momento in poi abbiamo capito che forse facebook poteva essere una chiave. facebook di fatto è una seconda internet solo che già ben indirizzata a quelli che ti interessano e a quelli a cui puoi interessare, quindi ha un potenziale enorme. di fatto ormai si usa come il telefonino, come l’email, non è più un sito. nel nostro caso, che abbiamo una fan base molto attaccata a quello che facciamo, un bel po’ di collezionisti, abbiamo visto che funzionava molto. quindi abbiamo investito parte del nostro tempo personale a fare una comunicazione diretta. siamo sempre attivi: c’è sempre qualcosa, che può essere l’idea del lunedì film, la promozione sulla pizza, tutte iniziative che sono molto divertenti da fare dal punto di vista discografico e altrettanto divertenti da gestire on line, perché con facebook si ha il polso diretto di quanta gente la fila e sul merchandising online si vede direttamente quanta gente si interessa e poi la compra, quello è il dato importante. col digital download noi abbiamo ottenuto quello che non ci saremmo mai aspettati. abbiamo messo il cd in vendita a un prezzo simbolico di un euro e la media è stata di  4 – 5 euro a persona e in più hanno fatto un sacco di pubblicità. questa cosa ci ha permesso poi di farne molte altre perché è andata molto bene proprio in termine di numeri. quindi abbiamo capito che questo può essere un canale di comunicazione molto utile, che poi porta gente ai concerti. abbiamo pertanto deciso di autogestirci completamente nell’ultimo disco, forti dell’esperienza dei primi due. in calibro 35 (cinedelic record, 2008) avevamo bisogno di collocarci, quindi un’etichetta che mettesse un timbro e dicesse: questi non li conoscete ma fanno parte della mia che fa colonne sonore. ritornano quelli di...calibro 35 (ghost records, 2010) era il primo disco un po’ più autografo e quindi ci siamo appoggiati ad una major per le edizioni, la warner. però dopo quell’esperienza ci siamo resi conto che, quello che veniva fuori era frutto del nostro lavoro, anche extra disco. allora abbiamo detto proviamo a farlo da soli. questa è la strada che costa molta fatica, perché ci deve essere sempre uno che sta 24 ore su 24 sul pezzo su tutti i fronti. le richieste da gestire sono tante perché noi siamo abbastanza internazionali anche come possibilità: adesso abbiamo in ballo un paio di cose sull’america che se avessimo una casa discografica sarebbe molto più facile da gestire. però teniamo botta e siamo convinti che sia la strada migliore, perché ci sono un sacco di intermediari che saltiamo e che permettono ad un progetto come questo di stare in piedi dignitosamente. calibro 35 è autosufficiente e da da mangiare a sette persone.
     nonostante questo progetto sia nato come un side project, le vostre iniziative si moltiplicano. ho notato di recente la partecipazione ad un progetto di cesare basile intitolato nero e immobile. di cosa si tratta?
è un romanzo noir che ha scritto lui. così come abbiamo fatto sonorizzazioni di film in questo caso abbiamo sonorizzato un reading. fu una registrazione fatta al bloom almeno un paio di anni fa. l’abbiamo eseguita anche a roma e al teatro coppola di catania, che è una situazione interessante: un teatro antico che ha vissuto varie vicende e adesso il collettivo dell’arsenale si è reimpossessato e ha fanno in modo che la città possa fruirne.
     siete considerati una delle più importanti band indie. cosa ne pensate della attuale scena italiana? è un periodo molto creativo o la crisi “globale” è arrivata anche qui?
la crisi è qualcosa che in realtà non tocca il mondo creativo in senso lato. non siamo in guerra ma viviamo una crisi economica, anzi ci sono posti dove c’è la guerra o situazioni molto drammatiche e creativamente escono cose molto fervide e interessanti. io personalmente sostengo che noi non siamo toccati dalla crisi perché il mercato musicale è da sempre in crisi. ho conosciuto parecchie realtà di validissimo interesse, molto visionarie, che vengono anche dall’humus più giovanile.  mi vengono in mentre sempre i soliti nomi c’è un gruppo di bologna che si chiamano sex with giallone  che non hanno fatto neanche un disco. sono ragazzi giovanissimi e fanno praticamente noise americano anni 80, molto stralunati, molto interessanti. poi ci sono tante cose che mi piacciono. io (enrico) ho prodotto honeybird & the birdies, un gruppo mezzo americano. max insieme a tommy aveva prodotto il disco dei selton, che sono un altro gruppo di gente che è venuta in italia. stranieri che vivono e che hanno deciso di proporre la loro musica qua: questa cosa mi riempie di orgoglio.
     il vostro ultimo disco verrà pubblicato a settembre anche in giappone, sarà la nuova terra di conquista dei calibro 35?
magari! arrivare in giappone era il sogno della prima ora, così fantasticando… pare che in giappone la musica prog e la musica italiana in generale funzioni. adesso usciamo e vediamo se è vero. io (enrico) avevo un idea che in realtà viene da un sacco di tempo fa. scerbanenco ha scritto una serie di romanzi cui protagonista si chiama duca lamberti. è una tetralogia, di cui l’ultimo che ha scritto in vita sua è i milanesi ammazzano al sabato (dal cui titolo storpiato gli afterhours hanno intitolato il penultimo disco). traditore di tutti invece è l’unico che non è stato mai reso cinematograficamente. venere privata, i ragazzi del massacro e i milanesi ammazzano al sabato hanno dei film corrispettivi. di quello non c’è e l’idea un po’ folle e megalomane è di fare un lungometraggio con un regista giapponese di cartoni animati: un lungometraggio di animazione giapponese, ambientato negli anni 60, a milano, con le nostre musiche.


[mariano comense, luglio 2012. james cook was here]  

i calibro 35 sono:

massimo martellotta - chitarre e lap steel
enrico gabrielli - tastiere, flauto, sassofono, xilofono
fabio rondanini - batteria
luca cavina - basso
tommaso colliva - produzione in regia





crediti foto: 
1 - © vladimir radojicic
3-7 © starfooker
8 - © ilaria magliocchetti Lombi
grazie a rossana pitbellula savino


articolo pubblicato su REvolution Rock #9, 
la webzine di diavoletto netlabel 
http://issuu.com/diavolettolabel/docs/revolution9

mercoledì 11 luglio 2012

erykah badu @ villa arconati, castellazzo di bollate (mi)


è il 7 luglio, a castellazzo di bollate stasera suona erykah badu, cantautrice americana della scuderia universal motown, vincitrice di 4 grammy® award e definita la regina del new soul. in realtà nei suoi dischi si trovano tutte le sfumature della musica black, dall’hip hop fino al jazz. ma erykah è anche un’artista itinerante, una dj, un’insegnante, un’attivista di comunità, una guaritrice olistica, una vegana e tanto altro ancora. nei suoi 5 dischi in studio, da baduizm del 1997 a new amerykah part two (return of the ankh) del 2010, spesso troviamo testi caratterizzati da riflessioni politiche e sociali che la portano ad essere considerata una delle personalità afroamericane più fantasiose ed eclettiche del nuovo millennio. 


a villa arconati sembra proprio tutto perfetto, a cominciare dai parcheggi, dalla pavimentazione in legno per l’area concerti, dal palco imponente e dalla resa sonora di ottimo livello. quasi in orario il gruppo sale iniziando dal dj che scalda la platea e, a seguire, i due percussionisti ed il batterista che intrattengono gli spettatori per un buon quarto d’ora. l’efficientissima organizzazione, con le sedie allineate, i posti numerati ed il personale di servizio che controlla che non ci siano imbucati, nel preciso istante in cui erykah badu sale sul palco, se ne va a quel paese: il pubblico si precipita verso le transenne sotto gli occhi sbigottiti degli attempati spettatori delle prime file e la festa ha inizio…
la band di 11 elementi è perfettamente schierata ed entra la regina, elegantissima nel suo impermeabile color crema, pantaloni e cappello arancioni, sembra quasi sfilare con passo sicuro, come fosse in passerella.
il soul venato di rhytm’n’blues dell’artista di dallas, sul palco, funziona come un orologio, a partire dal suono compatto dei musicisti, dal sostegno vocale dei coristi e naturalmente dalla presenza dirompente di erykah. La sua splendida voce ed i suoi movimenti catalizzano l’attenzione del pubblico che non smette per un attimo di ballare, urlare e battere le mani per oltre due ore, in cui viene riproposta buona parte della sua produzione più recente.
il finale è quasi da brividi quando, abbandonate le scarpe argentate da gran sera e rimasta in t-shirt, scende dal palco e, continuando a cantare, cammina a piedi nudi sull’erba per cercare il contatto fisico con il pubblico che si accalca verso di lei, quindi sale sulla transenna e praticamente viene sostenuta dalle prime file…

la mia impressione, soprattutto se paragonata al concerto dell’anno scorso all’arena civica di milano, è stata nettamente positiva: ho percepito la voglia dell’artista di essere più disponibile e più vicina al pubblico e l’intero show sicuramente ne ha guadagnato sotto tutti gli aspetti. quando il gruppo si ritira rimane il dj ad allietare il pubblico, proponendo alcuni pezzi di bob marley, che naturalmente incontrano il gradimento generale. 
a presto erykah, con tutti i cuoricini che ci hai regalato, non possiamo che augurarci di incontrarti quanto prima sui palchi milanesi…