sabato 28 settembre 2013

ásgeir - in the silence (2013)

ásgeir trausti è un giovane astro nascente della musica islandese, che, per il momento, ha dimostrato quanto i propri sogni, se ci si crede, alla fine possono diventare una splendida realtà. figlio di musicisti, fin da ragazzino, parallelamente alla passione per lo sport, ha coltivato anche quella per la musica, registrando pezzi che non aveva il coraggio di far ascoltare a nessuno. questo finché un amico non è riuscito a convincerlo ad inviare ad un produttore alcuni demo auto registrati a casa.
da lì, in poco tempo, la pubblicazione del primo album dyrd í dauðathogn, che ha ricevuto grandi riconoscimenti nazionali, restando al primo posto nelle classifiche di vendita per nove settimane, vincendo 4 premi agli icelandic music awards e piazzando ben sei brani ai primi posti della chart dei singoli.
l'album ha lasciato il segno sulla scena musicale del suo paese, diventando il disco di debutto di un'artista locale più venduto nella storia della musica islandese. a seguito di questo notevole successo, con l’aiuto del musicista americano john grant (che ora vive in islanda e lo ha portato in tour con lui in uk), i testi sono stati tradotti in inglese e ad inizio 2014 la versione internazionale verrà pubblicata anche in italia, con il titolo in the silence
le sue, sono delicate armonie folk alla chitarra acustica, combinate con semplici elementi di elettronica. ad impreziosire il tutto la voce toccante, malinconica e spesso in falsetto, uno dei suoi tratti distintivi.
il video, relativo ad una versione live del brano going home, registrata nello studio tapf di copenhagen, riassume al meglio l’essenza del suono di questo musicista che, già dalle prime note, crea un’atmosfera suggestiva alla quale è dolce abbandonarsi. tutti abbiamo un luogo dove ritornare e qualcuno da raggiungere, magari anche solo per le vie della mente e del cuore, attraverso cinque minuti di intensa melodia come questa…
questa invece è una versione live in studio di lupin intrigue, lato b del primo singolo, king and cross. fin dalle prime note l'artista islandese propone un dolcissimo accostamento fra timidi accordi di pianoforte ed impulsi elettronici, che, lentamente ma inesorabilmente, continuano a crescere per tutto il brano. grazie anche alla soave intensità della sua voce, ci regala così un momento di dolce relax in cui lasciare in libertà le nostre emozioni…
nel video del primo singolo, king and cross, troviamo come co-protagonista, proprio john grant.
una melodia dolcemente elettronica in cui la voce ora intensa ora eterea ed evocativa di ásgeir 
ci accompagna in un piacevolissimo viaggio emozionale....
king and cross
glistening nighttime dew, and she is walking with me.
from the house of red, I hear a child crying.
foxes heading home, their prey hangs from their jaws.
and the forest knows, but it won’t share the secret.
when the king takes sides,
leaving moral minds; soldiers take their share.
nighthawks seem to sense that now is the time.
deep inside them burns the raging fire of life.
he’ll take back what he owns.
death cannot take hold, if I can keep momentum.
fortresses of stone, turn into crystal tears
soothed by southern winds; I’ve found my strength now.
and nobody knows, and we must keep their secret.
when the king takes sides,
leaving moral minds; soldiers take their share.
nighthawks seem to sense that now is the time.
deep inside them burns the raging fire of life.
he’ll take back what he owns.
when the king takes sides,
leaving moral minds; soldiers take their share.
nighthawks seem to sense that now is the time.
deep inside them burns the raging fire of life.
he’ll take back what he owns.

giovedì 26 settembre 2013

boris savoldelli - tomorrow never knows (2013)

boris savoldelli è un vocal performer per il quale la voce diventa uno strumento con straordinarie possibilità. del suo background fanno parte gli studi classici di pianoforte e la conoscenza di batteria, basso e tromba. fin dall’adolescenza è stato affascinato dai suoni e dalle complessità delle composizioni appartenti alla cosidetta musica prog. al contempo, con entusiasmo, si è dedicato allo studio delle diverse timbriche che si potevano ottenere con la voce. L’ascolto poi di fenomeni come demetrio stratos, diamanda galas, cathy berberian e mark murphy (diventato successivamente suo mentore) lo hanno spinto verso la ricerca di una sempre maggiore interazione con la tecnologia. 
la sua, negli anni, è diventata una vera e propria voice orchestra, che gli permette di esibirsi sul palco da solo, con l’ausilio di un looper e alcuni processori di segnale, senza altri strumenti aggiuntivi. è la ripetizione continua di brevi porzioni armoniche e ritmiche, sovrapposte le une alle altre, a consentire il complesso equilibrio che permette la creazione dei singoli brani. dal vivo, arrivando a toccare paesi come il brasile, l'indonesia, la russia e gli stati uniti, presenta brani appartenenti agli album biocosmopolitan e insanology (pubblicati in tutto il mondo dall'etichetta newyorchese moonjune records). 
del suo repertorio fanno parte anche alcune interpretazioni di standard jazz (tra cui nature boy e i mean you), così come brani appartenenti al repertorio di jimi hendrix e dei beatles
il video che vi presentio è relativo all’esibizione live, registrata lo scorso maggio al parco dela gola del tinazzo a castro (bg) nell’ambito di un solo concert, della canzone tomorrow never knows. si tratta della traccia conclusiva dell’album revolver, pubblicato dalla celeberrima band di liverpool nel 1966. dotato di soluzioni vocali e tecnologiche del tutto innovative per l’epoca, rimane a tutt’oggi, uno dei più riusciti esperimenti di rock psichedelico del gruppo. ho avuto modo di apprezzare boris alcuni giorni fa, durante una breve esibizione al memo restaurant di milano, nell’ambito di una serata dedicata a hendrix organizzata da ezio guaitamacchi per radio lifegate e posso confermare che le sua tecnica, abbinata ad eccellenti doti vocali, produce un effetto davvero magico. quello che riesce a creare semplicemente "lasciando in libertà" la sua voce magari può spiazzare, ma di sicuro non passa inosservato...



*foto di luciano rossetti phocusagency - boris in new york city 2011

domenica 22 settembre 2013

samuele bersani - en e xanax (2013)

“ero un ragazzino quando sono arrivato da lucio con lo zainetto sulla spalle e una cassetta...”, così ricorda i suoi inizi samuele bersani. oggi, a distanza di 22 anni da quando, nel 1991, si fece notare esibendosi in apertura di un concerto del cantautore bolognese, rimane un artista che non smette di stupire per la vena poetica e profonda con cui racconta il mondo che lo circonda. il 10 settembre è uscito il suo nuovo album nuvola numero nove
un titolo che è la traduzione letterale dell’americano cloud number nine, “settimo cielo”, scelto perché oggi Bersani sente di essere proprio così: lassù e felice. il disco è stato completamente registrato nello studio del suo mentore lucio dalla, al quale lo ha dedicato. si tratta di dieci tracce che rivelano un cambio di espressione artistica frutto di una conquistata serenità affettiva. “ho scritto di getto - dice samuele - preoccupandomi poco del fatto che magari potessi tradire certe metafore un po’ più complesse del passato. mi piaceva l’idea di essere più diretto, che potessi capire anche io, fino in fondo, le canzoni che scrivo. qualche volta ho scritto tante parole e meno musica, stavolta è arrivata prima quest'ultima che poi mi ha suggerito anche l'idea per i testi delle canzoni”.
 il video, diretto da nicolò massazza è relativo al singolo en e xanas. lo stesso cantautore spiega che ha immaginato questi due personaggi epici, ma anche molto fragili, del presente, pieni di ansie. incontrarsi è un modo per riuscire a sfogare l’uno con altra queste paure. metterle insieme, unirle, crea così l'opportunità di scioglierle, trasformandole in un elemento di forza. in qualche modo questa canzone diventa il racconto dell’acquisita consapevolezza di quanto l’amore possa essere più forte di un ansiolitico... le parole di questo brano colpiscono profondamente per quanto mettono a nudo l’anima di samuele rivelando, senza filtri, un amore che rappresenta davvero una rivoluzione emotiva. quel “tu hai l’anima che io vorrei avere“, per intensità ed originalità è una dichiarazione che, da sola, valga già l’ascolto di tutta la canzone…
en e xanax
en e xanax non si conoscevano 
prima di un comune attacco di panico e subito 
filarono all'unisono. 
lei la figlia di una americana trapiantata a roma e lui 
un figlio di puttana 
ormai disoccupata. 
en e xanax si tranquillizavano 
con le loro lingue al gusto di medicina amara 
e chiodi di garofano. 
lei per strada e lui rubava i libri della biblioteca 
e poi glieli leggeva 
seduto sopra un cofano. 
ee non ti spaventerai con le mie paure, 
un giorno che mi dirai le tue 
troveremo il modo di rimuoverle. 
in due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore 
e su di me puoi contare per una rivoluzione. 
tu hai l'anima che io vorrei avere. 
en e xanax quando litigavano avrebbero potuto fermare 
anche il traffico di new york, 
uccidersi al telefono. 
Lei si calmava, lui la ritrovava nuda sulla sedia 
e poi sovrapponevano 
il battito cardiaco. 
se non ti spaventerai con le mie paure, 
un giorno che mi dirai le tue 
troveremo il modo di rimuoverle. 
in due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore 
e su di me puoi contare per una rivoluzione. 
tu hai l'anima che io vorrei avere. 
en e xanax si anestetizzavano con le loro lingue al gusto di 
menta e marijuana 
e poi si addormentavano.
e poi si addormentavano,
e poi si addormentavano,
e poi si addormentavano.

mercoledì 18 settembre 2013

hjaltalin - crack in a stone (2013)

gli hjaltalín sono sette musicisti provenienti da reykjavík che suonano insieme dal 2004 ed hanno all’attivo tre album. l’ultimo lavoro, pubblicato in islanda nel 2012 e distribuito nel resto del mondo in questi giorni, s’intitola enter 4
il numero indicato nel titolo sembra stia a rappresentare una “dimensione parallela”, raggiunta dal frontman högni egilsson a causa di un disturbo bipolare che lo ha costretto al ricovero in un istituto psichiatrico. proprio in ospedale, insieme alla band, sono stati registrati alcuni demo di canzoni inserite successivamente nel disco. complessivamente si tratta di nove brani che, incentrati su un nuovo sound, più evoluto e minimalista, propongono un pop raffinato a due voci, arricchito dalla presenza di strumenti eleganti e suggestivi quali il violino, il fagotto, il clarinetto e il violoncello. i testi esprimono tutti il desiderio di fuga, alla ricerca in un sogno che permetta di continuare a sperare, superando così i momenti dolorosi che appartengono alla nostra “condizione umana”. il primo singolo estratto è crack in a stone.
il video relativo è diretto da yoonha park, che ha ripreso i membri della band in diverse fasi dell’esecuzione della canzone presso il sundlaugin studio, dove è stata anche incisa la versione definitiva del brano. quattro minuti o poco più di perfetta armonia fra una melodia electro-suggestiva, gli intrecci vocali di egilsson e la controparte femminile sigríður thorlacius. ascoltarli, magari ad occhi chiusi, lasciarsi trasportare e un po’ anche sognare, sembra piacevolmente inevitabile...

crack in a stone
i'm losing sight
a stolen mind.
you're the crack in my rock.
your nose at my feet (well it is a lie).
your tongue down my neck (does it shed a light).
you're the only crack in my rock.
funniest thing is by the end you'll never ever know what I want.
never ever stop to see that i was calling your name.
throw away the signs that say that everything will be alright.
will it make you move, if i'm wiser?
leaving it to be, left to see, that things will get better.
please just follow and remember.
when all is gone, what is left to see:
you're just a crack in a stone.

lunedì 16 settembre 2013

gregory porter - liquid spirit (2013)

un “giovane cantante fantastico”, così è stato definito gregory porter da un artista del calibro di winton marsalis. nasce a los angeles ma cresce a bakersfield, california, in una famiglia di origine afro-americana. la scomparsa prematura del padre segna profondamente la vita del giovane greg. si dice che quando da ragazzo la madre lo sente cantare e nota la somiglianza della sua voce con quella di nat king cole, gregory inizia ad immaginare che il cantante sia veramente suo padre e l’amore espresso in quelle canzoni, una dedica segreta. porter inizia ad esibirsi in piccoli jazz club a san diego, dove avviene l’incontro con il suo mentore, il sassofonista kamau kenyatta, “l’uomo che – dirà successivamente - mi ha insegnato tutto ciò che mi occorreva sapere”. 
essere incluso, con uno dei ruoli più importanti, nel cast del musical it ain’t nothin’ but the blues permette alla sua voce di ricevere i primi importanti apprezzamenti. questo, però, non lo spinge a fossilizzarsi in lavori teatrali, ma, al contrario, crea il giusto stimolo per seguire il suo cuore che lo porta a new york, in cerca di una carriera solista. il tutto fatto in modo naturale, spontaneo, evitando di seguire percorsi consigliati da altri, pur consapevole che tale atteggiamento, inevitabilmente, comporterà tempi più lunghi per riuscire ad emergere definitivamente. nel 2010 arriva finalmente l’atteso debutto con l’album water, una raccolta di brani originali e standard jazz, che conquista una nomination al grammy nella categoria "best jazz vocal album". con il disco successivo be good del 2012, ottiene la seconda nomination come "best traditional r&b performance” per il brano real good hands
è uscito da pochi giorni liquid spirit, il terzo lavoro e primo per la prestigiosa etichetta blue note recordsquattordici tracce che, oltre a brani originali, includono una versione dello standard jazz i fall in love too easily, nonché la cover di lonesome lover di abbey lincoln e di the ‘in' crowd di ramsey lewis. in questo disco gregory ha portato tutto il suo amore per il blues, il soul, e il gospel, elementi che da sempre sente appartenere al jazz. i testi riprendono temi a lui cari come l’amore, la sua gioventù, osservazioni riguardanti problematiche socio-politiche. 
sabato scorso, nell’ambito del cartellone del festival mito settembre in musica, ho avuto l’opportunità di assistere all’unica data italiana, presso il blue note milano, del suo un tour mondiale. 
segno distintivo di porter, come sempre, quando si è presentato sul palco, un copricapo stile fantino che gli avvolgeva guance e mento e che lui stesso definisce il “mio cappello jazz”. ascoltandolo, fin dalle prime note è stato facile intuire perché, in poco tempo, si sia conquistato la fama di una delle “migliori voci del jazz contemporaneo”. in lui convive con assoluta naturalezza, una tecnica sopraffina che rasenta la perfezione, unita ad un calore che arriva diretto al cuore di chi ascolta, regalando un’emozione sottile ma, contemporaneamente, ammaliante. il video che vi propongo è relativo ad una versione live della title track dell’album, registrata ai kplu-fm studios. un vivace gospel-jazz in cui porter ci trascina nel suo mondo in cui l’amore per la musica, a dispetto o forse a compensazione di un passato doloroso, coincide, contagiosamente, con quello per la vita…
liquid spirit
un re-route the river
let the dammed water be
there's some people down the way that's thirsty
let the liquid spirit free
the folk are thirsty
coz of mans unnaturel hand
watch what happens when the people catch winds
of water hitting the banks of the hard dry land
clap your hands now 
get ready for the wave
it might come like the final flood
the people haven't drank in so long
the water wont even make mud
after it comes, it might come like a steady flow
grab the roots of tree down by the river
take a cup when your spirits low
clap your hands now
get down take a drank and fill your water tank
un re-route the river
let the dammed water be
there's some people down the way that's thirsty
let the liquid spirit free
the folk are thirsty
coz of mans unnaturel hand
watch what happens when the people catch winds
of water hitting the banks of the hard dry land

sabato 14 settembre 2013

massimo volume - mi piacerebbe ogni tanto averti qui (2010)

il primo ottobre, a distanza di tre anni dal precedente lavoro, pubblicheranno il nuovo album aspettando i barbari, al quale, dalla fine dello stesso mese, farà seguito il tour omonimo. stiamo parlando dei massimo volume, gruppo rock nato a Bologna sul finire degli anni ottanta, scioltosi nel 2002 e riunitosi nel 2008, che vede in emidio clementi la figura di fondatore e leader. il suo cantato-recitato è la cifra stilistica con la quale questa formazione ha mostrato una capacità narrativa che colpisce fin dal primo ascolto. in curiosa attesa di scoprire i contenuti del nuovo disco, riascoltiamo il brano mi piacerebbe ogni tanto averti qui, tratto dall’album cattive abitudini del 2010. le immagini che accompagnano il brano - non è un video ufficiale della band - sono una libera ma suggestiva interpretazione a cura di giaculatorie. ispirato dalla lettura della poesia di montale "ho sceso dandoti il braccio", clementi ha composto questo pezzo dedicandolo alla figura del padre, donandogli un’intensità che permette, a chi si mette in ascolto, di entrare con naturalezza in struggente contatto con qualcuno di caro che non sia più al suo fianco…

mi piacerebbe ogni tanto averti qui
mi piacerebbe ogni tanto averti qui
raccontarti di me
tu che restavi fermo sulla soglia
a guardarmi
in attesa di un pretesto
che non ti offrivo mai
te ne sei andato docile
tra le mie braccia
nella tua buona notte
vestito come uno sposo di campagna
tu così attento allo stile
mi piacerebbe ogni tanto averti qui
con Nina sulle tue ginocchia
per confrontare i nostri profili
che il tempo ha affilato
fino a confonderli
te ne sei andato docile
tra le mie braccia
nella tua fredda notte
leggero come una rondine stremata
tu che avevi il terrore del vuoto
mi piacerebbe ogni tanto averti qui
per mostrarti le cose che ho di te
te ne sei andato docile
tra le mie braccia
nella tua arida notte
che un giorno sarà la mia

giovedì 12 settembre 2013

a cuore aperto: il capitano cook incontra paolo benvegnù

paolo benvegnù è un “artigiano della musica” che, con dolcezza e grande sensibilità, da oltre vent’anni, parla di sentimenti che appartengono alla vita di ognuno di noi. l’ho incontrato in una sera d’agosto, prima e dopo un suo concerto a como. è stata un’autentica emozione essere lì a condividere il suo mondo fatto di conquiste, ma anche di fragilità, in cui la musica è stata e rimane la sua ancora di salvezza.
hai iniziato ad occuparti di musica più di 20 anni fa e nel frattempo il mondo musicale è cambiato notevolmente. come hai vissuto questa evoluzione?
più che un’evoluzione, direi piuttosto un’involuzione, in quanto ho l’impressione che stiamo sempre un po’ girando intorno. gli strumenti sono quelli, nel campo delle canzoni si parla sempre delle stesse cose: la vita la morte, la presenza l’assenza, l’amore, di cosa devi parlare? forse vent’anni fa tutto era un po’ più genuino, semplicemente perché, visto che, come gli alberi, come la terra, siamo stratificazione di cose, vent’anni fa c’erano meno strati, ma ha a che vedere con il tempo, non tanto con il talento. ci sono persone che lo fanno meravigliosamente, altre lo fanno meno bene, ma quello che succede nella musica è ininfluente ai fini dell’umanità. ritengo che tutti i cambiamenti sociologici e di costume abbiano poco a che vedere con la vera grande importanza di fare qualcosa. siamo gettati in questo mondo e non sappiamo come cavarcela, io ho trovato la musica come scialuppa ed anche come ancora di salvataggio…
sei nato a milano e l'hai abbandonata per sfuggire al suo stile di vita. hai lasciato il lago di garda anche per allontanarti dalle idee leghiste. dove vivi ora ti senti in sintonia o mediti qualche altro spostamento, magari all'estero?
penso che i luoghi rappresentino un po’ anche quello che sei tu. io non mi sono mai trovato per parecchio tempo, perciò il problema era più che altro dentro di me. credo sia più facile trovarsi in un territorio dove la musica viene considerata cultura, piuttosto che business. la differenza tra siena, arezzo, firenze e milano è anche un po’ questa. qui la musica viene percepita più come tale, a milano c’è sempre questa finalizzazione delle cose, anche se non è sempre business. nel mio caso non ci sono mai riusciti, non per bravura, piuttosto perché non sono in grado di produrre business con quello che faccio – e meno male… non è una ricerca la mia, non sono capace di scrivere canzoni gradite da tutti. a dir la verità, è già una sorpresa che qualcosa che faccio piaccia a qualcuno, un privilegio fin troppo grande per me. sicuramente mi trovo più in sintonia in un territorio in cui le case del popolo sono ancora tessuto connettivo tra giovane e anziano, piuttosto che bar da aperitivi, mi interessa meno…

hai prodotto tanti dischi di atri artisti. a parte l’aspetto economico, cosa ti spinge a mettere a disposizione di musicisti, generalmente più giovani di te, la tua esperienza e le tue capacità?
beh, l’aspetto economico un pochino mi da una mano a fare di questa meravigliosa passività una possibilità di sopravvivenza, per quanto molto risicata. negli anni, quest'attività è diventata un privilegio assoluto, arrivato così, senza pensarci. normalmente cerco di estendere questo stupore alle persone che sono agli inizi, per certi versi è anche propedeutico. c’è da dire che questo è un lato del mio carattere non prettamente positivo. chi sono io per dire a qualcuno: “questa è la mia esperienza e anche per te sarà sicuramente così”. forse può aiutare, però sto ripensando anche a questo aspetto. in realtà, credo che ognuno dovrebbe fare propedeutica per sé. già mi sembra molto bello se riesco ad essere un componente in più del gruppo. non so quanto questo andrà avanti, è una delle caratteristiche che dovrei togliere dal mio meccanismo di produzione. comunque di dischi ne ho prodotti tanti in questi anni, anche in situazioni divertenti, incontrando persone magnifiche. sono stato fortunato, nella maggior parte dei casi ho lavorato con persone molto più brillanti di me.
qual è il tuo rapporto con questa società in cui sembra sia fondamentale essere sempre reperibili?
io coltivo la fantasia di sparizione, come idea della vita. non mi ci trovo tanto, ma semplicemente perché sono un uomo anziano, un uomo del novecento , con altre istanze. per me la cosa più importante è chiamarsi e trovarsi, noi. la reperibilità mi sembra un’ansia inutile, il mondo gira sempre senza nessun problema, con o senza di noi…
spesso nei tuoi brani si affronta il dolore ma la sensazione è che tu sia un ottimista, qualsiasi cosa succede trovi un motivo per andare avanti. è cosi?
leggevo oggi uno scritto del filosofo karl jaspers. lui vedeva amleto come qualcuno che sa, ma non ha le prove. un fantasma gli rivela che lo zio ha ucciso il padre e ne ha usurpato il trono, diventando re di danimarca. la sua reazione, nella quale mi ritrovo è che, per inerzia, lui ricerca la verità, ma quasi involontariamente, solo per il fatto di esistere. la sento mia perché non è un’azione di movimento, ma una scoperta delle piccole verità e delle piccole bugie che appartengono ad ognuno dei personaggi. però lui è sempre un po’ fermo, io invece sono più attonito, senza peraltro cercare la verità. forse l’unica sensazione in cui davvero mi identifico è che un po’ penso di sapere e un po’ di non poter sapere, che non mi sia dato sapere. guardo le cose per come sono, con grande tranquillità. perciò anche il dolore è così per me, c’è, si affronta, va via, torna. il tempo, come un oceano, continua a macinare assenza e presenza del dolore in te, è normale, penso...

sensazione che le scelte fatte nella tua vita siano guidate più dal cuore che dalla ragione. se in un progetto ci credi lo fai al limite anche gratis, altrimenti nessuna cifra potrebbe convincerti…
quello, ahimè , è un po’ vero. forse qualche volta avrei dovuto prendere certi treni per stare un po’ meglio. anche lì, però, è tutto da vedere se poi sarei stato all’altezza di rimanere a bordo, facendone parte realmente.
non so se definirle scelte di cuore, viste nell’ottica di qualche anno fa direi di si, ora comincio a pensare che le mie siano state anche scelte di auto sabotaggio, non tanto per paura, quanto per presunzione. a nulla serve essere intimamente e anche esteriormente colmi di umiltà, se poi nel profondo di noi c’è un narcisismo impressionante. penso di essere arrivato a questa consapevolezza. io mi sono auto sabotato un po’ per paura e un po’ per narcisismo. siamo qui apposta per cercare di capire se questo sia vero oppure no…
i tuoi pezzi parlano di sentimenti “senza tempo”, universali. hai mai sentito il desiderio di scrivere qualcosa strettamente legato all'attualità?
no, tanto più ora. mi sembra che negli ultimi 30 anni, la fine delle grandi ideologie abbia determinato un notevole appiattimento culturale. è come se il pensiero degli uomini fosse stato un po’ scardinato, diventando molto corto. poiché io penso senza tempo, non posso fare a meno di esprimere le mie intuizioni in questo modo. del resto, contemporaneamente, tanto per essere un po’ ambiguo, c’è una frase che mi è sempre piaciuta tantissimo, detta da un ex matematico che era in manicomio: "ho un grande bisogno di essere marginato". sentiamo la necessità di avere dei margini perché il nostro pensiero possa essere il più lungo possibile. non per dominare ciò che ci circonda, semplicemente perché deve essere ad ampio raggio. mi sembra assurdo parlare solamente di un aspetto delle cose, senza considerarne anche la profondità e l’altezza...

le tue canzoni trasmettono emozioni che acquistano un grande valore, annullando il tempo e le distanze. scrivi un pezzo oggi e magari tra vent'anni, chissà dove, qualcuno si emoziona...sei consapevole di questo transfert emotivo? cosa ne pensi?
quando scrivo una canzone devo sentirmi “appartenente a”, non necessariamente a me o ad una mia intuizione, semplicemente qualcosa che, passato attraverso me, acquista un’esistenza al di là di me. quando succede, ed è la quasi totalità dei casi, ho l’impressione di aver colto qualcosa d’importante, di esserne stato parte. e penso: “che bello!”, ma credo non ci sia differenza con chi ha questo tipo di sensazione costruendo un tavolo, accudendo un figlio, giocando a tennis…
mi stupisco che qualcun altro sia toccato, colpito da qualcosa per cui io faccio da tramite, perché conosco la mia grevità, il mio essere persona di terra.
sono troppo cerebrale per prendermi sul serio. paradossalmente, un albero potrebbe farlo, quando succhia linfa dalle radici e combatte contro quelle degli altri alberi. la vita di noi uomini, e parlo di me soprattutto, no. è bellissimo generare emozioni, da un lato sono felicissimo e lo nascondo in una nicchia, dall’altro devo completamente dimenticarlo. è spaventevole ciò che succede nel momento in cui pensi di avere un’importanza, hai finito di fare questa cosa, hai smesso. non dal punto di vista economico perché anzi, proprio gli intrattenitori hanno questa chiave, ma se tu vuoi farlo come un naufrago, abbandonandoti, perché così è la vita, allora non devi averne consapevolezza.
diverse artiste hanno reinterpretato alcune tue canzoni. cosa provi ascoltandole e quale ti è piaciuta di più?
la prima strofa di “io e te” cantata da mina, dove non c’è arrangiamento, mi sembra bella! mina è una donna che ha vissuto, amato, fatto figli… e questo si sente. è stato emozionante per tutto il significato della cosa. quando mi ha telefonato benedetta mazzini mi è venuto un mezzo coccolone: “a mia mamma piace un tuo pezzo”. la cosa mi ha ovviamente sconvolto, ma poi per me è finita lì.
in generale, penso che quando qualcuno scrive canzoni, se ha la fortuna che escano dalla sua stanza, non gli appartengono più, diventano patrimonio di tutti.

ti sarebbe piaciuto cantarla insieme a mina, invece di sentire solo la sua voce?
l’esperienza sarebbe stata fantastica, ma sono convinto che una canzone debba essere cantata da una persona sola. sono più contento che l’abbia interpretata lei, così come lo sono quando la canto io. non mi piacciono i duetti, né le collaborazioni, quelle un po’ appiccicate con il bostik, magari anche belle. io sono un monaco, riesco a condividere poche cose con una ristretta cerchia di persone, più di questo no. è un mio limite, ma forse anche una mia attitudine.
alcuni anni fa hai proposto una serie di spettacoli musical-teatrali denominati “trilogia dei lavori umili” (idraulici-marinai-camerieri). anche quando canti sembra che rivendichi il tuo essere una “persona normale”, un artigiano più che un artista…
ora ti dico una cosa: tutti i comunicati stampa dei benvegnù, fin dal primo, li ho scritti io. ovviamente molti credevano che fossi un “alfiere dell’ipersensibilismo europeo, che venisse dall’ipersensibilismo internazionale di charles f. brikowsky, dal suo libro ‘salutami washington’…”. in realtà, mi inventavo tutto per vedere se i giornalisti controllavano le fonti e diciamo che l’80% non lo faceva. la storia della “trilogia dei lavori umili”, come la “trilogia del tessuto”, è una gran stronzata, inventata per vedere se finalmente qualcuno veniva da me a dirmi: “oh, ma che cazzo stai dicendo?”.
in realtà quelle piccole pièces divertenti servivano a metterci fuori dal contesto del palcoscenico, un rito che ormai ha 70 anni ed aveva forse un senso nel 1965 allo shea stadium con i beatles. stasera, a como, è un rituale che ha perso quel significato, come è giusto che sia. l’idea interessante poi era questa: gli spettacoli prendevano strade diverse, ma il finale era sempre quello: il più piccolo di noi, andrea franchi, ci uccideva tutti e poi pronunciava la fatidica frase, mangiando pop corn: “non posso sopportare tutto il peso del mondo sulle mie spalle” e finiva strozzato proprio da quei pop corn, idea, secondo me, geniale. il senso è: perché ci lambicchiamo il cervello ogni giorno, di quali ansie ci carichiamo, nel momento in cui, in fondo qualsiasi cosa, anche un pop corn, può distruggere la sua costruzione avvenuta per distruzione degli altri ?!…
sono tre spettacoli e se ne facessi altri, lo giuro, il finale sarà sempre quello. (risate)

si può fare musica leggera “profonda”, senza mischiarsi con l’intrattenimento?
credo ci si possa anche divertire ascoltando musica dolcemente profonda. penso alla trilogia di italo calvino, racconti cupissimi, ma scritti quasi come fiabe. a me piacerebbe un giorno riuscire ad esprimere quel tipo di intuizione, anche se io mi scateno sulla tragedia, sono un eroe tragico in fondo.
una persona che ha unito profondo e leggero in Italia è stato franco battiato, “la voce del padrone” è un disco così, con grandi trasversalità.
fatico a trovare altre figure simili, alessandro fiori scrive così, mescolando quotidiano, personale e universale. anche andrea (franchi) a volte ci riesce, ma sono espressioni che hanno poca visibilità. negli ultimi 50-60 anni, da quando è l’occhio che comanda, vince chi ha una grancassa enorme e chi è fisicamente un figurino. io, tra l’altro, ho avuto anche delle chance per esserlo, ma, ovviamente, le ho sprecate tutte in carboidrati… (risate)
pensi sempre che una grande libertà sia indissolubilmente legata anche ad una grande solitudine?
riferendomi di nuovo a battiato, non lo conosco personalmente, ma ritengo che la sua sia una grande vita di condivisione solitaria, non molto lontana da quella di un monaco. credo sia un uomo, al di fuori della sua sfera personale, molto aperto verso gli altri. io faccio molta più fatica in questo senso, oltre a non potermi paragonare minimamente a lui per conoscenze ed idee.
per me libertà è sinonimo di solitudine e in sè già pone un limite al concetto stesso di libertà. la solitudine intesa come dice montaigne, vissuta nella torre eburnea, credo sia pericolosa. per me, significa chiudersi stabilendo il conosciuto e lo sconosciuto, ne scaturisce, così, una lotta di limiti, una sorta di veto infinito a sé stessi. libertà è un concetto troppo difficile, io non riesco ancora a capirlo, perdonatemi…

una delle definizioni che hai dato di hermann è “colonna sonora di un film mai girato”. sapendo che sei un grande appassionato di cinema, ti piacerebbe scrivere una colonna sonora e, potendo scegliere, quale regista vorresti "commentare"?
mi piacerebbe, ma non ne sono in grado, sono più un uomo di parola che di musica. ho delle intuizioni, ma minime. però lavorerei volentieri con david lynch, lui ha una dote fantastica a mio parere, si lascia molto guidare dal caos, dal caso. mentre herzog è un consapevole, cioè scatena intenzionalmente il caos, lynch lo accetta, è un accettante. due figure così importanti con un approccio completamente diverso. adoro herzog per quello che dice e per come lo dice, ha girato delle opere cinematografiche profondamente sentite e ricreate, non lontano da tati, per la sua tremenda ricostruzione del vero. lynch invece si abbandona, in realtà non pensa, non sta rivelando il suo mistero, semplicemente non lo sa. mi piacerebbe fare qualcosa con lui ma , ovviamente, c’è già badalamenti che è infinitamente meglio di me.

cosa rappresenta per te il momento del concerto e che rapporto cerchi di instaurare con il pubblico?
sono troppo vergognoso e timido per cercare di instaurare un rapporto con il pubblico, perciò dico qualsiasi stronzata mi passi per la testa, come le luci di certe farmacie dove passano messaggi senza soluzione di continuità. quando canto dal vivo (a volte anche quando sono a casa), mi trasformo in una donna bellissima, è la mia essenza. potenzialmente, io sono una madre pazientissima, ed in quanto tale, suono con persone che da un lato accudisco e dalle quali, dall’altro, vengo stimolato. le famiglie funzionano soltanto perché c’è questo meccanismo di protezione e stimolazione continua l’uno verso l’altro, in fondo non così lontano dalle falangi romane che hanno conquistato il mondo e da quelle spartane che hanno fermato i persiani alle termopili.

a che punto è la scrittura del prossimo disco?
abbastanza in alto mare. ho scritto tanti pezzi e ne ho scelti 4-5. faccio fatica, nel tempo si alza la soglia dell’autocensura. delle intuizioni avute fino ad ora, alcune le ho portate in fondo che meglio di così non saprei fare. non credo che nella vita di un uomo ce ne possano essere ogni giorno di brillanti, non nella mia almeno.
se considero la mia partenza così greve, vicino al vuoto, fino ad ora ne ho avute già tantissime, sono arrivate cose che sinceramente non mi sarei mai aspettato. non si tratta ovviamente di successo, perché ci campo a malapena, parlo di una conquista di consapevolezza e da lì ho cominciato a svuotarmi. adesso, paradossalmente, è come se fossi tornato ad un altro stadio di vuoto, molto più armonico, un vuoto non di esclusione… ma di appartenenza.
il grosso problema per la scrittura del prossimo disco è che, quando arriva questo stadio, c’è talmente un senso di pienezza che non vorresti condividerlo con nessuno.
mi sembra tutto: “questo l’ho già detto” e “questo perché devo dirlo?”
il problema è che, in tantissimi casi, muore l’energia primigenia e diventa mestiere.
ho sentito, ad esempio, alcuni degli ultimi pezzi di david bowie e mi sembrano molto validi, ma il disco è stato pubblicato a dieci anni dal precedente.
il senso è che se io non pubblico un album entro il prossimo anno, scompaio definitivamente, e già non esisto. i benvegnù, dal punto di vista della micro sopravvivenza quotidiana non esistono. quindi: scrivo un disco, perché devo scrivere un disco. negli ultimi tre anni ho messo in fila tutta una serie di intuizioni, secondo me molto importanti, ma che stanno nell’indicibile: come posso spiegare che finalmente dopo 45 anni vissuti in rincorsa, riesco a vedere una giornata senza nessun tipo di ansia, dall’alba al tramonto, e la notte la vivo per com’è, senza tormenti? potrei dirlo ma non ci riesco, perché sta nella sfera personale.
tornando a bowie, ci ha messo dieci anni a fare un disco, ha detto delle cose importanti e i pezzi che ho sentito sono bellissimi. anche se raccontano del quotidiano, dietro hanno tutto un concepire l’esistenza che si sente, pur parlando di una persona.
non bisognerebbe forzare i tempi, ma questo è un momento in cui esisti se fai, non esisti se sei. perciò, quello che sto cercando io in questo momento, è soprattutto essere, ed ogni tanto fare. credimi è uno sforzo per me difficile, penso sia un’evoluzione del mio esistere il fatto di non di avere l’urgenza di dire niente, perché tutto è già palese.
lo so, in fondo è bello, ma è solo una frase di una strofa appartenente ad un pezzo. è bello ma finisce lì, dura cinque secondi…

como, 14.08.13 james cook was here!

*grazie ad ellebi per il prezioso aiuto.

**grazie a starfooker per le splendide foto! 

***intervista apparsa sul #9 di just kids.

domenica 8 settembre 2013

tigran - road song (2013)

tigran hamasyan, in arte tigran, è un giovane pianista armeno apprezzato da artisti del calibro di trilok gurtu, herbie hancock e brad mehldau. dall’età di tre anni, iniziando con lezione private, ha studiato musica classica nel suo paese. 
dopo il diploma ha proseguito gli studi fra los angeles e new york ma, fondamentale per la sua formazione artistica è stato l’incontro, a undici anni, col maestro vahagn hayrapetyan  che lo ha guidato alla scoperta del jazz tradizionale e del bebop. tigran è cresciuto ascoltando svariati tipi di musica, dai black sabbath, ai led zeppelin, dal rock classico, all’heavy rock. Questa curiosità, insieme ad un grande amore per la musica improvvisata, gli ha permesso di creare un “jazz aperto“ in cui le più differenti ispirazioni si contaminano. nelle sue composizioni, infatti, accanto a suggestioni folcloristiche armene, che testimoniano tutto l’amore per la terra d’origine, troviamo elementi di elettronica e sperimentazione, ma anche la rielaborazione di standard jazz. nasce così uno stile del tutto personale che sarebbe troppo riduttivo tentare di classificare entro un unico genere preciso. 
lo scorso 26 agosto, a due anni dal precedente a fable, progetto di piano solo, è stato pubblicato l’album shadow theater, ancora per la prestigiosa etichetta verve. Il disco è stato realizzato con la sua band, composta da: areni agbabian, voce, ben wendel, sax; sam minaie, basso, nate wood, batteria. a questo lavoro farà seguito l’omonimo tour che, da ottobre, spazierà fra europa (italia esclusa per ora), stati uniti e canada. road song, di cui vi propongo il video realizzato da karen mirzoyan, è il singolo che ha anticipato l’uscita del nuovo disco. una melodia che, accompagnata da voci soavi, quasi angeliche ed oniriche, spazia fra improvvisazioni pop jazz e la più classica tradizione armena, immergendoci in un mondo musicale visionario,mutevole e indefinibile, nel quale è davvero piacevole perdersi... 

lunedì 2 settembre 2013

walter marocchi - foradada (2013)

walter marocchi è un compositore, produttore e film editor milanese. mala hierba è il suo progetto musicale creato all'insegna della contaminazione fra i diversi generi, nella convinzione che gli stessi siano il frutto di incontri, migrazioni, a volte, persino, deportazioni di grandi masse di persone. marocchi pensa che la storia della musica possa insegnare di più sulla civiltà umana rispetto a grandi eventi quali guerre o conquiste. è da queste idee che prende ispirazione il suo secondo disco, pubblicato ad inizio 2013 ed intitolato alisachni, parola che in greco indica lo strato di sale che le onde del mare depositano nella cavità delle rocce. 
si tratta di undici brani strumentali dominati da una grande libertà espressiva, in cui la musica viene proposta come mezzo e luogo di spostamento e contatto. così, grazie anche all'eterogeneità dei componenti del quartetto, ognuno proveniente da esperienze diverse, le radici rock-blues si mescolano a suggestioni jazz, ma anche reggae, balcaniche ed orientali. fanno parte del progetto mala hierba, oltre a marocchi, fabrizio mocata, carlo ferrara e stefano lazzari. all'album hanno collaborato inoltre, tra gli altri, felice clemente al sax, roberto romano al clarinetto e al duduk, nonché un trio di voci femminili e un coro di otto elementi. 
per cogliere le sonorità del quartetto, vi suggerisco il video relativo all'esibizione live, avvenuta presso shareradio, del pezzo foradada. il titolo si riferisce ad un gigantesco scoglio che fuoriesce dal mare dietro il promontorio di capo caccia, in sardegna. un pezzo di roccia scavato dalle onde, l’ultimo bastione oltre il quale lo sguardo si perde nell'infinito del mare aperto. per rendere tutta la forza evocativa di questo paesaggio naturale sono stati utilizzati tre strumenti particolari: la bandurria che, suonata col plettro, appartiene alla musica folclorica di spagna e america latina, la ciaramella, classicamente associata alla zampogna a chiave e la melodica, aerofono simile all'armonica, dotato di tastiera. abbandonarsi, magari ad occhi chiusi, alla dolce intensità di queste note è davvero rasserenante. cinque minuti o poco più in cui mettere in libertà i propri sogni e desideri, prima che tornino a perdersi nei meandri della quotidianità…