la band nasce nell’estate di 5 anni fa come un progetto in cui
far convergere le passioni musicali e cinematografiche di 5 musicisti, nei loro
ritagli di tempo. dal 2007 ad oggi, le cose sono cresciute parecchio. i
calibro35 del 2012 sono gli stessi o le loro ambizioni sono un po’ cambiate?
diciamo che adesso cerchiamo di
ritagliarci una vita al di fuori dei calibro 35 perché è diventato un impegno quasi
a pieno. se il progetto era nato come puro
divertissment adesso in qualche modo è il progetto principale di tutti noi…
voi abitate in zone diverse d’italia e per parecchi mesi
all’anno siete impegnati in altri progetti. come avviene normalmente il
processo creativo dei vostri brani?
non c’è una metodologia precisa. Di
base quando ci sono dei brani un pochino più a forma song è max che li porta
praticamente già completi di tutto. perché max è dei calibro 35 il
polistrumentista reale: suona batteria chitarra basso tastiere e l’ho visto
suonare anche i fiati. quindi fondamentalmente capita che i brani che vengono
presi anche un po’ come hit, tipo uh ah
brrr o convergere in giambellino siano
scritti da lui. e poi ci sono procedimenti di scrittura collettiva: soprattutto
nell’ultimo disco abbiamo fatto un bel po’ di roba nata da delle sessioni di
improvvisazione che, essendo persone abbastanza disciplinate non diventano mai
fumose, riusciamo a dargli una forma abbastanza bene. e poi ci siamo comunque
anche luca e io (enrico) che portiamo le nostre idee e a volte dei brani. i
procedimento è questo e poi c’è tommaso dall’altra parte del vetro che fa un
lavoro di cernita, di scelta, di sistemazione, esprime il punto di vista
esterno del gruppo. essendo però lui stesso del gruppo non è il classico punto
di vista di un fonico che ti registra ma è la tua coscienza…
il vostro ultimo disco è stato registrato a new york, set naturale di migliaia di film, ed in
particolare a brooklyn, zona in cui vivono parecchi italo americani. è una
coincidenza o è un fatto voluto?
è stato un fatto abbastanza voluto
quello di andare in america a registrare il disco. ci hanno invitato per il south
by southwest che è un festival in texas abbastanza importante e abbiamo
approfittato del giro per fermarci una settimana a new york dove c’è la nostra
etichetta nublu che ci stampa i dischi in america e per metterci a vedere
quello che poteva succedere. l’anno prima proprio nel quartiere di brooklyn avevamo
fatto un’altra session in cui abbiamo registrato un paio di brani che non sono
finiti nel disco ma che erano di chiara ispirazione italo americana. un pezzo
si chiamava broccolino funk proprio per chiamare brooklyn come lo chiamavano nel
padrino gli italoamericani e quelle suggestioni di cui parli sicuramente sono
entrate nel disco e già solo il fatto di stare tutti insieme per un po’ di
tempo in un posto, noi che di solito non ci stiamo quasi mai se non per le date
o per vederci un giorno per fare una session di registrazione, è stato un po’
regalarci un disco da band vera. dal punto di vista concettuale è stato forse
il primo disco in cui abbiamo fatto proprio la dinamica da band, in studio una
settimana senza distrazioni, per tirar fuori i pezzi e sicuramente l’america ci
ha fatto abbastanza bene.
sembra che in questo studio ci sia stata la possibilità di
divertirsi parecchio utilizzando strumenti che non è facile trovare negli studi
italiani. avere a disposizioni questa enorme ricchezza sonora ha facilitato il
vostro lavoro?
non vorrei adesso far diventare
l’america più mitologica di quanto è. in italia si trovano studi in cui ci sono
strumenti come quelli, ce ne sono tanti. oltretutto gli strumenti, in
particolare le tastiere che suono io (enrico), molto spesso sono di produzione europea e
non di produzione americana. l’italia negli anni 70 era la cosiddetta corea dell’europa:
la eko, la farfisa, la bontempi, gli amplificatori binson che noi usiamo, sono
tutte marche italiane, che sono conosciute nel mondo perché erano
qualitativamente e artigianalmente molto interessanti. in quello studio c’era
tantissima roba interessante però anche in italia ci sono posti così. la
differenza è che a new york c’era un bilanciamento tra luogo, materiale a
disposizione, ambiente geografico e clima che noi respiravamo che ci
interessava. non era perché c’erano tanti giocattoli, non soltanto per quello almeno...
il cosiddetto sogno americano è ormai una realtà per i calibro
35, visto che ci avete suonato in numerose occasioni e i vostri dischi vengono
regolarmente distribuiti negli stati uniti. in particolare il’10 luglio è stata
pubblicata l’edizione americana di "ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale". cosa rappresenta per voi
l’america e cosa c’è di diverso nei concerti americani?
l’america è un posto dove siamo
andati più volte ma non abbiamo mai fatto il tour de force che fanno spesso le
band, cioè l’est west coast. un classico è andare lì e farsi un mese di
concerti ovunque: dal club frequentato e cool all’equivalente di un karaoke a
rimini in italia. noi siamo stati abbastanza fortunati perché abbiamo fatto
sempre cose molto mirate: siamo stati a los angeles in una radio piuttosto
importante, a new york abbiamo subito trovato un’etichetta che poi ci ha dato
molto e di fatto ci fa anche da base operativa: quando noi andiamo a new york ci aiuta
molto a fare delle cose. per adesso è un posto dove abbiam visto che tutti i
semini piantati crescono molto bene al di là del mitizzare il posto. per quanto riguarda i concerti
onestamente è difficilissimo dire se un pubblico è caldo o è freddo. quello che
un pochino si percepisce di più sicuramente è una maggiore frequentazione. la
gente è più abituata alla figura del musicista e a rispettarlo come un
lavoratore qualsiasi. molti falsi miti dell’america li abbiamo sfatati: ad
esempio il fatto che l’america chissà che locali ha. da noi spesso siamo
messi molto meglio. noi facciamo soundcheck di ore mentre in america spesso non
si fa nemmeno. qua noi prendiamo dei cachet garantiti mentre in america
prendi, nella stragrande maggioranza delle volte, solo sulla base delle persone
che entrano ai concerti e quindi la promozione dipende da te. il locale mette a
disposizione la sala e ti dice se viene gente si suona se non viene arrivederci
e grazie. questa è un’ottima lezione e capisci perché le band tendono a essere
tutte molto toste, perché c’è una grossa competizione e comunque a farsi un
mazzo così anche fuori dal palco a far parlare della band a portare gente. per
il resto quello che vediamo è che gli show quando noi suoniamo bene funzionano a
istambul a new york a milano o a frosinone, insomma dipende sempre un po’ da
noi…
enrico gabrielli suona uno strumento che ha l’aria molto vintage
e personalmente mi affascina molto: l’eko tiger. immagino che non sia solo una
questione estetica ma riguardi anche la ricerca di certe sonorità che sono un
po’ il vostro marchio di fabbrica…
l’eko tiger è uno strumento di tanti
organi giocattolo di quegli anni lì. quello che ho io è un modello dell’ottobre
del 70, credo sia il primo modello. è uno dei tanti organi italiani di quell'epoca di carattere domestico. erano organi fatti per
stare in casa, in qualche chiesetta o veniva portato in qualche festa perché non era un vero organo da concerto. il tiger è uno strumento che non
si usava dal vivo mai. in quegli anni lì su utilizzava l’hammond o cose ben più
elaborate. credo che, per un musicista degli anni 70 vedere il tiger suonare, sia più o meno come per noi vedere una casio, una tastierina
casio giocattolo. tant’è che è uno strumento molto economico lo trovi su ebay
in qualsiasi formato in qualsiasi foggia in qualsiasi modello a pochissimi
soldi. la peculiarità è che è uno dei pochi organi che mi è capitato di avere
tra le mani e che porto dal vivo che come resistenza, suono, gestibilità e reale efficacia è imbattibile rispetto a tanti altri organi
di quel genere lì che mi è capitato di avere. ho provato a utilizzare un farfisa
e degli altri prodotti simili ma il tiger è davvero incredibile.
avete partecipato a diverse iniziative legate al cinema, suonato
in parecchi festival e avete fatto anche alcune sonorizzazioni dal vivo. qual è
il progetto che vi ha dato più soddisfazioni?
è difficile in realtà perché il bello
di suonare in calibro è proprio il fatto che ti permette di fare tutte queste
cose. in realtà ci sono state tante cose belle che abbiamo fatto, da quando
abbiamo suonato insieme alla sun ra orchesta a istambul quindi un concerto, a
quando ci hanno chiamato al mito a sonorizzare the racket, penso il primo
gangster movie della storia statunitense. quindi è molto difficile scegliere
perché in realtà proprio per il fatto che il progetto può muoversi in diverse
direzioni è bello fare tanto una sonorizzazione quanto un live in radio senza batteria,
usando come amplificatore un pacchetto di sigarette. penso che sia proprio
questa molteplicità di strade che rende calibro 35 un progetto interessante
anche e soprattutto per chi ci suona.
per la promozione e la comunicazione puntate molto su internet
ed i social network. siete soddisfatti di questo contatto diretto con i fan e
dei risultati che fìno ad ora ha portato? se non erro la versione digital
download del disco nuovo è andato molto bene…
noi abbiamo fatto questo digital
download del disco perché abbiamo investito tanto sulla comunicazione diretta
con le persone e quindi da un certo momento in poi abbiamo capito che forse
facebook poteva essere una chiave. facebook di fatto è una seconda internet
solo che già ben indirizzata a quelli che ti interessano e a quelli a cui puoi
interessare, quindi ha un potenziale enorme. di fatto ormai si usa come il
telefonino, come l’email, non è più un sito. nel nostro caso, che abbiamo una
fan base molto attaccata a quello che facciamo, un bel po’ di collezionisti,
abbiamo visto che funzionava molto. quindi abbiamo investito parte del nostro
tempo personale a fare una comunicazione diretta. siamo sempre attivi: c’è sempre qualcosa, che può essere l’idea
del lunedì film, la promozione sulla
pizza, tutte iniziative che sono molto divertenti da fare dal punto di
vista discografico e altrettanto divertenti da gestire on line, perché con facebook
si ha il polso diretto di quanta gente la fila e sul merchandising online si vede direttamente quanta gente si interessa e poi la compra, quello è il
dato importante. col digital download noi abbiamo ottenuto quello che non ci
saremmo mai aspettati. abbiamo messo il cd in vendita a un prezzo simbolico di un euro e la media
è stata di 4 –
5 euro a persona e in più hanno fatto un sacco di pubblicità. questa cosa ci ha permesso
poi di farne molte altre perché è andata molto bene proprio in termine di
numeri. quindi abbiamo capito che questo può essere un canale di
comunicazione molto utile, che poi porta gente ai concerti. abbiamo pertanto deciso di autogestirci completamente nell’ultimo disco, forti dell’esperienza
dei primi due. in calibro 35 (cinedelic record, 2008) avevamo bisogno di collocarci, quindi un’etichetta che
mettesse un timbro e dicesse: questi non li conoscete ma fanno parte della mia
che fa colonne sonore. ritornano quelli di...calibro 35 (ghost records, 2010) era il primo disco un po’ più autografo e
quindi ci siamo appoggiati ad una major per le edizioni, la warner. però dopo
quell’esperienza ci siamo resi conto che, quello che veniva fuori era frutto del
nostro lavoro, anche extra disco. allora abbiamo detto proviamo a farlo da
soli. questa è la strada che costa molta fatica, perché ci deve essere sempre
uno che sta 24 ore su 24 sul pezzo su tutti i fronti. le richieste da gestire
sono tante perché noi siamo abbastanza internazionali anche come possibilità:
adesso abbiamo in ballo un paio di cose sull’america che se avessimo una casa
discografica sarebbe molto più facile da gestire. però teniamo botta e
siamo convinti che sia la strada migliore, perché ci sono un sacco di
intermediari che saltiamo e che permettono ad un progetto come questo di stare
in piedi dignitosamente. calibro 35 è autosufficiente e da da mangiare a sette
persone.
nonostante questo progetto sia nato come un side project, le vostre
iniziative si moltiplicano. ho notato di recente la partecipazione ad un
progetto di cesare basile intitolato nero e immobile. di cosa si tratta?
è un romanzo noir che ha scritto lui. così come abbiamo fatto sonorizzazioni di film in questo caso abbiamo
sonorizzato un reading. fu una registrazione fatta al bloom almeno un paio di
anni fa. l’abbiamo eseguita anche a roma e al teatro coppola di catania, che è una
situazione interessante: un teatro antico che ha vissuto varie vicende e
adesso il collettivo dell’arsenale si è reimpossessato e ha fanno in modo che la
città possa fruirne.
siete considerati una delle più importanti band indie. cosa ne
pensate della attuale scena italiana? è un periodo molto creativo o la crisi
“globale” è arrivata anche qui?
la crisi è qualcosa che in realtà non
tocca il mondo creativo in senso lato. non siamo in guerra ma viviamo una crisi
economica, anzi ci sono posti dove c’è la guerra o situazioni molto drammatiche e creativamente escono cose molto fervide
e interessanti. io personalmente sostengo che noi non siamo toccati dalla crisi
perché il mercato musicale è da sempre in crisi. ho conosciuto parecchie
realtà di validissimo interesse, molto visionarie, che vengono anche dall’humus
più giovanile. mi vengono in mentre
sempre i soliti nomi c’è un gruppo di bologna che si chiamano sex with
giallone che non hanno fatto neanche un disco. sono
ragazzi giovanissimi e fanno praticamente noise americano anni 80, molto
stralunati, molto interessanti. poi ci sono tante cose che mi piacciono. io
(enrico) ho prodotto honeybird & the birdies, un gruppo mezzo americano. max insieme a tommy aveva prodotto il
disco dei selton, che sono un altro gruppo di gente che è venuta in italia. stranieri che vivono e che hanno deciso di proporre la loro musica qua: questa
cosa mi riempie di orgoglio.
il vostro ultimo disco verrà pubblicato a settembre anche in
giappone, sarà la nuova terra di conquista dei calibro 35?
magari! arrivare in giappone era il
sogno della prima ora, così fantasticando… pare che in giappone la musica prog
e la musica italiana in generale funzioni. adesso usciamo e vediamo se è vero. io
(enrico) avevo un idea che in realtà viene da un sacco di tempo fa. scerbanenco
ha scritto una serie di romanzi cui protagonista si chiama duca lamberti. è una
tetralogia, di cui l’ultimo che ha scritto in vita sua è i
milanesi ammazzano al sabato (dal cui titolo storpiato gli afterhours hanno intitolato il penultimo disco). traditore di tutti invece è l’unico che non è stato mai reso
cinematograficamente. venere privata, i ragazzi del massacro e i
milanesi ammazzano al sabato hanno dei film corrispettivi. di quello non c’è e
l’idea un po’ folle e megalomane è di fare un lungometraggio con un
regista giapponese di cartoni animati: un lungometraggio di animazione giapponese, ambientato negli anni 60, a
milano, con le nostre musiche.
[mariano comense, luglio 2012. james cook was here]
i calibro 35 sono:
massimo martellotta - chitarre e lap steel
enrico gabrielli - tastiere, flauto, sassofono, xilofono
fabio rondanini - batteria
luca cavina - basso
tommaso colliva - produzione in regia
crediti foto:
1 - © vladimir radojicic
3-7 © starfooker
8 - © ilaria magliocchetti Lombi
grazie a rossana pitbellula savino
articolo pubblicato su REvolution Rock #9,
la webzine di diavoletto netlabel
http://issuu.com/diavolettolabel/docs/revolution9
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