mercoledì 30 ottobre 2013

il Capitano Cook incontra i Selton

Selton con la loro anima latina e poliglotta, che plana deliziosamente leggera su ogni cosa, si stanno rapidamente conquistando un posto al sole nel nostro panorama musicale, ma con spiccate potenzialità anche verso il mercato internazionale. Li ho incontrati in una torrida domenica d'agosto, prima di un loro concerto al festival di Filago. Ne è nata una conversazione briosa, ironica, intensa e confidenziale dalla quale ne sono uscito decisamente sorridente e rinfrescato…

La vostra avventura musicale è iniziata a Barcellona, nel famoso Parc Guell, concepito e realizzato da Gaudì, un architetto-artista che ha dimostrato che i sogni si possono pensare, costruire, vivere ed abitare. I Selton hanno portato avanti la sua lezione, dandoci prova che i sogni, se ci credi, si realizzano?
Ramiro: Si assolutamente, infatti abbiamo avuto la fortuna di iniziare in quel contesto che appunto ha un’atmosfera incredibile. Da lì è nato tutto così, molto naturalmente.
Ricardo: I sogni poi alla fine li costruisci, come Gaudì, ma c’è tanto lavoro dietro…

Siete capitati, quasi per caso, a Milano circa 6 anni fa e ci siete rimasti.
Cosa significa essere musicisti, brasiliani, in questa città?

Ramiro: L’’impressione che abbiamo è che, da quando siamo arrivati, la gente vede in noi il sole. Siamo stati accolti molto bene e questa è una cosa bella. Le persone si sono aperte, forse anche per il tipo di progetto che avevamo all’inizio, il fatto di prendere i loro pezzi e interpretarli nella nostra lingua. Questo secondo me ha aperto tanto le porte...
Ricardo: poi non siamo tipici brasiliani però c’è tanto Brasile in noi. Crediamo che a Milano questo sia percepito in una maniera molto molto positiva. Siamo brasiliani da un po’ a Milano e questa è la nostra identità.

Il vostro ultimo disco si intitola "saudade", sentimento spesso associato alla malinconia. Voi però non sembrate poi così malinconici, anzi, trasmettete un grande senso di speranza per il futuro. Cosa è per voi la saudade e come si fa a mantenere questa positività in momenti così duri, come quello attuale?
Ramiro: Abbiamo proprio voluto mostrare un altro sguardo sulla saudade, che viene sempre associata alla malinconia, alla tristezza, invece è un sentimento molto più ampio. Per noi che siamo via da casa da tanto tempo, alla fine è uno stato d'animo che ci accompagna. Però non solo saudade del Brasile, ma di tante esperienze che abbiamo vissuto anche nella nostra vita a Barcellona. Può essere un sentimento molto positivo, portare dentro sensazioni che a volte ti mancano, però ti fanno anche sorridere.
Daniel: oltre all’ironia di un brasiliano che fa un disco chiamato saudade, che sarebbe come per un italiano fare un disco intitolato pizza - vale a dire lo stereotipo dello stereotipo - sintetizza molto la nostra ricerca costante di un posto in cui sentirsi veramente a casa. Perché nemmeno quando torniamo in brasile, ormai ci sentiamo così com’era una volta. Tutto quello che abbiamo vissuto in precedenza non c’è più e nasce quindi una sensazione di continuo spaesamento, una mancanza tradotta un po’ in saudade, ma non in un senso brutto, anche nel bello di sentirsi sempre straniero.

Avete di recente parlato di un particolare concetto di “casa” che vi appartiene. siete sospesi tra due continenti e i diversi luoghi a cui siete legati. Poi però c’è la musica e tutto si sistema… “saudade, o meu remédio é cantar” - giusto?
Ricardo: Si giusto, questa frase è la sintesi di quello appena detto da Daniel. Abbiamo trovato casa nel fare musica assieme, tutto qui!
Ad un ascolto superficiale può sembrare che facciate musica di puro intrattenimento, leggera e disimpegnata. Andando ad approfondire i contenuti invece non è proprio così. Ci sono storie personali, ma anche interessanti spunti culturali…
Daniel: Vero. In Italia c’è una cultura, almeno quella più attuale nel mondo indipendente, in cui, per avere una certa densità artistica, devi fare una cosa triste o comunque di rivolta, in qualche maniera mostrarti un po’ incazzato. Per noi, all’inizio, è stato proprio uno choc cercare di proporre qualcosa vista come musica leggera, che però avesse contenuto. C’è questo pregiudizio per il quale, se non c’è quel certo approccio, non vale nemmeno la pena cercare riferimenti che possano voler dire tanto di più. Però di fatto è una cosa che ci piace molto. Dopo un po’ abbiamo imparato che questa è una sfida molto bella da affrontare.
Ramiro: con questo disco è la prima volta che cominciamo ad avere il riconoscimento di non essere troppo leggeri perché nel lavoro precedente è stata la critica più frequente. Ricardo: la nostra sfida è, con leggerezza positiva, comunque essere densi.
Daniel: Pensa ai Beatles, erano molto ironici pur rimanendo leggeri. Ed è una cosa molto presente in brasile. Se ascolti tanti testi del samba trovi storie tristissime, però il tutto è abbastanza ballabile, sembra gioioso, quello è anche un nostro modo di proporci. Avendo interpretato i Beatles per tanto tempo ed essendo brasiliani, ci appartiene molto questo paradosso, ritmico e testuale in qualche maniera. Però a volte anche una musica che si abbini a un tema leggero va bene.

Automaticamente viene da pensare ad un artista a voi affine, Enzo Jannacci, con il quale avete collaborato al vostro arrivo in italia. Scriveva cose molto “toste”, mascherando il tutto con una certa leggerezza...
Daniel: È vero, quello è stato probabilmente uno dei motivi per cui siamo identificati tanto con lui, col suo lavoro. Ci è sembrata una maniera quasi brasiliana di scrivere, come faceva anche Chico Buarque. Avere una canzone finta leggera però con un testo molto ironico, molto pieno di contenuti.
Ricardo: Se prendi alcuni gruppi attuali, come Vampire Weekend, anche loro hanno un tipo di scrittura simile. magari pongono il testo in modo più particolare e soggettivo, però spuntano fuori una o due frasi a pezzo che dicono tutto… il resto delle parole è irrilevante! una grande capacità di sintesi.
Ramiro: Comunque Jannacci era un grande (risata generale che conferma…

ogni vostro brano è firmato da tutti e quattro, quasi a trasmettere un senso di unità. Come avviene il processo compositivo, come scegliete i pezzi? Scrivete veramente tutti e quattro insieme?
Daniel: beh, dipende… il disco precedente è nato in una maniera, ma in quest’ultimo è andata un po’ diversamente. Di solito ognuno di noi ha un’idea di una canzone, la elabora un po’ e poi iniziamo a lavorarci o in sala prova o nel salotto di casa. A volte due di noi iniziano a elaborare un pezzo, poi magari arriva un terzo che interviene e piano piano la cosa nasce...
Ramiro: Però la cosa bella di questo disco, in particolare, è che abbiamo fatto veramente quasi tutto il lavoro così, anche se alcuni pezzi a volte arrivavano più pronti.
Daniel: “Across The Sea” è un pezzo che è arrivato praticamente pronto, da Ricardo. Però a livello di arrangiamento poi abbiamo lavorato parecchio. Anche “Piccola sbronza”...questi due pezzi sono quelli che sono arrivati un po’ più impostati, poi però si entra nel mondo degli strumenti da usare, di dove staccare…
Ramiro: La cosa bella è stata anche nei casi opposti, come “You’re Good” ad esempio, che abbiamo composto proprio insieme. Il ritornello a me e Daniel è uscito una volta, scherzando, poi in sala prove abbiamo inserito il riff in cinque quarti che aveva creato Richi.
Ricardo: avevo mangiato qualcosa che non andava ed ho cominciare a suonare in 5/4 , un ritmo un po’ diverso…


La stavo ascoltando prima e pensavo: “è bellissima, questo potrebbe essere un successo radiofonico mondiale. Ci sono questi intrecci vocali, questo suono brasiliano con tamburi quasi samba…”
Ricardo: Lo pensiamo anche noi ma non è stato provato in radio non è stato ragionato come singolo. Come struttura è un po’ strana, diversa da quello che magari una radio mainstream si può aspettare da un pezzo pop. Ciò non toglie che anche a noi piace molto. Abbiamo ottimi riscontri anche da tanti musicisti, prima o poi verrà il suo momento…
Perché alla radio dobbiamo per forza ascoltare sempre le stesse cose?
Daniel: Tranne radio Lifegate che riesce a passare gruppi leggermente meno standard…

Poi c’è il discorso che se vivi in Italia, essendo un musicista, devi per forza cantare in italiano per avere un riscontro. 
Ricardo: E’ un equilibrio che stiamo scoprendo. Proviamo a dimostrare all’italia che la nostra identità è più internazionale e vogliamo che il pubblico si abitui a pensarci così. Il primo singolo è stato “piccola sbronza”, fatto insieme a Dente ed è stato la scelta giusta, un pezzo che gira e ci piace moltissimo. A livello di radio ha avuto molto riscontro. Linus a Radio Dj lo mandava un giorno si un giorno no, poi anche altri programmi e tante altre radio, Isoradio, RadioDue, Cuore…
Ora proveremo con “Across the Sea”, che sarà il secondo singolo, in inglese e vedremo cosa succederà.

Tra di voi regna veramente e costantemente l’armonia. Come avete fatto a trovare l’equilibrio giusto? Non litigate mai?
Ah ah ah… (risata generale )
Eduardo: no in realtà litigare no. Discutiamo tanto tra di noi e alla fine troviamo sempre il modo di comprenderci, perché siamo amici da prima che il gruppo esistesse. E’ stato del tutto naturale impostare in questo modo i rapporti fra i componenti della band. Sappiamo esattamente cosa uno sa fare meglio dell’altro, quali sono i suoi difetti, le sue qualità, ed agiamo sempre nel rispetto reciproco.
Ramiro: Con il tempo abbiamo capito che la nostra forza fondamentale nasce dall’amicizia e quindi ne abbiamo tanta cura. Siamo molto attenti, se c’è qualcosa che non va ce lo diciamo, si parla sempre.

L’amicizia/collaborazione con Dente nasce con il disco precedente e si rinnova con “Saudade”. Quanto è stato importante il suo contributo e soprattutto quanto conta l’amicizia, anche nei rapporti professionali?
Ricardo: Non facciamo mai niente allo scopo di farlo. Anche le collaborazioni con Jannacci in primis e poi Cochi e Renato di conseguenza, sono nate per affinità musicali. Il mondo che proponevano era vicino al nostro e da lì ci siamo conosciuti. Dente…va beh, neanche a parlarne: è un amico, punto! Ci ha sempre dato una mano con le traduzioni, ci ha sgridato - in maniera molto carina – per i testi in italiano, ci ha insegnato tanto. Da noi a sua volta ha imparato molto, un po’ anche della nostra cultura musicale. L’abbiamo portato in brasile, ora è molto affascinato da quel mondo: il prossimo disco di Dente sarà tutto samba (risata generale). Così anche con Daniele Silvestri, si è creato un rapporto umano e per noi è quello che rimane, l’affinità e l’amicizia.

la produzione dei vostri due dischi “indipendenti” è stata curata da un nome importante, che ha seguito progetti anche di grande visibilità internazionale: Tommaso Colliva. Com’è andata? Immagino siate soddisfatti, visto che avete ripetuto l’esperienza.
Daniel: Si assolutamente. Con lui abbiamo un rapporto che è diventata una profonda amicizia. Sin dall’inizio quando stavamo cambiando casa discografica, prima del disco che è uscito nel 2010, lui è stata la persona che ha creduto nel nostro progetto, sentendo i provini. Fare quel disco in italiano è stata un’idea sua, i pezzi originariamente erano in portoghese e inglese, c’era un brano soltanto in italiano, "Anima leggera". Con quel disco ci ha preso per mano e insieme abbiamo deciso la strada da seguire.
Ramiro: Da lì ha iniziato ad avere un’importanza enorme per noi
Eduardo: Poi il bello è avere una persona che arriva da fuori con uno sguardo obiettivo e la sua un’opinione in qualche modo diventa importante. Noi ci fidiamo tanto, non è proprio solo uno sguardo in più è parte del processo creativo.
Ricardo: Artisticamente siamo soddisfatti, ci fidiamo, quindi deleghiamo a lui certe responsabilità.
Daniel: Quest’ultimo disco è stato fatto molto con i primi provini registrati a casa. Consegnavamo il materiale e lui ci indicava quale direzione prendere, abbiamo lavorato così. Grande parte delle scelte artistiche che aveva in testa erano le cose che stavamo cercando noi. C’è stata molta intesa, pensiamo sia il produttore giusto per la nostra musica. Altre band che leggete pagate Tommaso Colliva: lui vale quanto chiede…(risata generale). Per noi il risultato è stato ottimale e il fatto che lavori con tutte le realtà importanti della scena indipendente italiana penso sia un segnale chiaro.

Avete collaborato anche con il libro “The New Rockstar Philosophy
Daniel: Tommaso Colliva ha fatto la traduzione in Italiano del libro, scritto da due canadesi, uscito lì e poi in Giappone. E’ nata un’amicizia anche con gli autori che sono venuti in Italia ed abbiamo fatto pure una jam session. Ci è stata offerta l’opportunità di collaborare alla versione americana, una riedizione uscita da qualche mese, scrivendo parte di un capitolo sul crowdfunding.

La vostra immagine è piuttosto scanzonata, ma ho l’impressione, seguendovi da tempo, di una grande organizzazione dove poco è lasciato al caso, dove le idee sono sempre molto chiare. Come funziona l’azienda-selton?
Ricardo: Abbiamo un’immagine scanzonata ? BASTA!!! Bruciamo tutto…
Siamo un’esercito…
Ramiro: In realtà siamo tedeschi (risata generale)
Eduardo: noi abbiamo due lati come band: uno di musicisti che suonano e si divertono, l’altro quello in cui bisogna lavorare, di conseguenza ci dividiamo i compiti. Questo è un po’ il nostro lato azienda, cerchiamo di gestirci come tale, dividendo tutto e puntando sull’organizzazione.
Ramiro: Da quel punto di vista abbiamo imparato tanto da Tommaso Colliva e anche da “The New Rockstar Philosophy”. Abbiamo letto il libro e lo consigliamo a tutti, perché per vivere nel mondo della musica indipendente, ci sono tantissime regole nuove da conoscere.
Ricardo: Ma anche vecchie. Se qualcuno guarda al passato, tutti i veri musicisti si sono sempre dati da fare. Non hanno solo cantato e basta…
Ramiro: l’immagine dell’artista che fa solo quello e poi arriva in alto è rara. nella maggior parte dei casi bisogna lavorare come dei pazzi, anche i Beatles lo facevano.
Daniel: Anche Lady Gaga pensa ai costumi e a tutto il resto. Alla fine occorre un’organizzazione, se non hai un’infrastruttura che lavora per te occupandosi di queste cose. Lo stesso se ce l'hai, devi comunque dare le dritte...
Ricardo: Stiamo cercando stagiste, donne mandare curriculum con foto!

Di recente siete stati in Brasile per una tournée (e non è la prima volta). Siete più famosi a Porto Alegre o a Milano?
Daniel: A Milano. I concerti che facciamo a Porto Alegre, essendo cresciuti lì ma non vivendoci più, sono pieni di amici che vengono per rivederci. E’ diventata una sorta di evento per ritrovarci. Qua c’è più una fan base vera diciamo. Anche lì sta crescendo però..
Ricardo: Parlando di Brasile bisogna prendere come luogo di riferimento San Paolo. Quella è la misura, San Paolo è la Milano brasiliana ed è lì che stiamo investendo. Porto Alegre rimane nei nostri cuori, ci torneremo sempre per suonare, però bisogna puntare su San Paolo e Rio, le due città più importanti.

Avete suonato in contesti molto diversi, dalle cover dei Beatles al Parc Guell al recente concerto di Roma con Daniele Silvestri davanti a 10.000 persone. Come cambia l’approccio live? Preferite esibirvi in versione intima e acustica o davanti a un folto pubblico?
Ramiro: Tutte e due le esibizioni hanno un fascino incredibile. Suonare davanti a diecimila persone a "Rock in Roma" è stata un’esperienza eccezionale per noi. Però c’erano dei momenti, quando suonavamo per strada, in cui si sprigionava della magia, era bellissimo, la vicinanza col pubblico a volte era proprio emozionante. 

Ricardo: In proporzione era un riscontro analogo. Per quel contesto, avere duecento persone che in un parco ballavano e cantavano insieme a te, era come suonare davanti a diecimila.
Ramiro: e a Barcellona si fermavano perché avevano voglia di ascoltarci. Quindi tutte e due le situazioni hanno un fascino speciale. L’anno prossimo speriamo di essere al primo maggio a Roma (e il giorno prima al parc guell - aggiungono ridendo)

Avete collaborato con molti artisti. Chi vi piacerebbe che vi chiamasse oggi per fare qualcosa insieme?
Daniel: Devendra Banhart, David Byrne, Dirty Projectors, Vampire Weekend, Arto Lindsay (l’abbiamo già fatto ). 
Ricardo: Vampire Weekend per fare il tour aprendo i loro concerti non sarebbe male. David Byrne per diventare il quinto Selton e per produrci. Va beh, l’abbiamo detto (risata). 
Eduardo: Anche Paul Mccartney. Oppure i Beatles, John Lennon dall’aldilà.

Otto anni fa siete partiti dal Brasile e avete raggiunto questo, vivere di musica a Milano. Dove saranno i Selton fra 8 anni?
Ramiro: Thailandia
Eduardo: Otto anni sono troppi non so, comunque staremo suonando, da qualche parte.
Daniel: California, California dreaming …
Ricardo: Sembra difficile dirlo in questo momento, vista anche la nostra storia. Quello che crediamo succederà è che cercheremo di aprirci sempre di più verso il mondo musicale internazionale. Che poi sia il brasile o altre realtà non possiamo saperlo ora. Una cosa è sicura: i Selton suoneranno!




Filago, 4 agosto 2013

james cook was here!


*grazie ad Ellebi per il grandissimo aiuto.


**grazie a Marta per l'ispirazione alle domande.

***grazie a tutti i fotografi che hanno partecipato:
(1) Monelle Chiti

(2-3) Andrea Furlan
(4-5) Federica Ravasio
(6-7) Giada Arioldi
(8-9) Valentina Genna
(10-11) La Berti Bi

(12-13) Nadia Alborghetti
(14-15) Marco Schacktar





****intervista apparsa sul #9 di just kids.

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