arrivo per tempo in piazza colleoni, proprio di fronte al castello in cui si perdono bellissimi ricordi di incontri e concerti, organizzati dal vulcanico laboratorio creativo di neverlab. entrando al circolo ho la piacevole sensazione, per me che ho sempre abitato in provincia, di essere al bar di ritrovo, nella piazza centrale del paese. sulla destra noto un piccolo palco, dove fanno bella mostra alcune chitarre ed una ricca pedaliera. appena sotto, spicca una capigliatura scompigliata: è paolo saporiti, che mi accoglie con un sorriso complice.
parliamo un po' dei temi che ci appassionano: la situazione culturale italiana, che non consente di vivere di musica se ci si allontana dalle logiche commerciali, gli artisti che ci piacciono, le piccole cose quotidiane. mi colpisce un grande pragmatismo di fondo, un po' in contrasto con le atmosfere delle sue canzoni, che spesso ci accompagnano in viaggi immaginari verso l'infinito. pian piano il locale si riempie, le luci si abbassano, è il momento di dare inizio al concerto.
la partenza è di grande effetto, the way young lovers do di van morrison, eseguita senza amplificazione e scendendo in mezzo a noi. questa scelta, per l'intera serata contribuirà ancor di più a catalizzare la nostra attenzione. praticamente, fino alla fine dell'esibizione, rimarremo tutti in religioso silenzio, lasciandoci conquistare da un mix perfetto fra suoni e voce calda, intima, sensuale…
ritornato sul palco, paolo parte con un inedito in italiano, come sangue, anticipandoci quella che potrebbe essere la sua nuova tappa artistica: mantenere i suoni del recente disco, l'ultimo ricatto, arricchito dalle preziose incursioni sonore di xabier iriondo, raccontando storie nella nostra madrelingua. una dopo l'altra, attraverso estratti dai suoi dischi e la rivisitazione, in chiave del tutto personale, della musica dei suoi punti di riferimento, affiorano le molteplici anime di paolo. scorrono, in una strana sensazione di assenza spazio-temporale, street spirit dei radiohead, i'll fall asleep (i cui versi mi ritorneranno in mente più volte sulla strada del ritorno - i'll fall asleep in the middle of my dreams, and in-between these days i'll recall the games, that we used to play…), nella quale gli effetti sonori creano una splendida atmosfera straniante. a seguire human perversion, dal disco del 2006, pubblicato a nome don quibòl ed un altro inedito (she's my girl).
è il momento di un attacco feroce alle major, in particolare ad un "omino" della universal con il quale paolo non ha avuto un buon rapporto, in occasione della registrazione del suo penultimo disco, alone. si tratta dell'inedito, ho bisogno di te, finale in crescendo ed un tono di voce che diventa provocatorio e quasi minaccioso ("io saprei cosa dire, io saprei cosa fare, per venirti a cercare…").
poi arriva erica, un altro pezzo in italiano che paolo ha scritto parecchio tempo fa e non ha mai pubblicato. ci confessa che avrebbe voluto portarlo a sanremo, "sarebbe proprio adatto, e non è escluso che un giorno ci arriverà…".
scorrono altri brani dai suoi due dischi più recenti, nei quali, spesso i "loop" e gli effetti creati dai pedali sulla chitarra e sulla voce, ci attraggono verso mondi ricchi di sfumature diverse. il tutto, continuando a mantenere teso il filo del racconto musicale, nonostante tra il palco e la sala ci sia una curiosa rete rossa che, apparentemente, potrebbe creare un certo distacco. rapito da questa atmosfera magica, perdo il conto dei brani.
vengo poi catturato da gelo, unico pezzo in italiano finora pubblicato, che, paolo ci spiega, è stato scritto quando il discografico universal gli disse che gli era molto piaciuto l'album de le luci della centrale elettrica. anche qui la performance è dirompente e graffiante : "ricordi, che al tempo del grano, correvi veloce, lontano dal male, lontano dal gelo, che toglie il respiro, anche quando non c'è, forse il male non c'è, quando il bene non c'è, forse il bene non c'è, quando il male non c'è...".
i minuti scorrono, le chitarre si scordano, un pezzo non vuole uscire. si arriva ad una splendida cortez the killer di neil young, fino al finale intenso e commovente: hallelujah di leonard cohen, cantata per celebrare un lieto evento: il cantautore è diventato zio, da poco. dapprima timidamente, poi più decisi, ci uniamo tutti in coro per il gran finale.
saporiti scende di nuovo in mezzo a noi, che lo accogliamo con qualche sguardo lucido e sorrisi compiaciuti e grati per l'emozionante serata. sei anni di psicologia, cinque anni di teatro: si sente che questo songwriter milanese è un instancabile viaggiatore dell'anima, che coltiva senza compromessi, il proprio percorso di crescita personale.
la sua unicità consiste nel condividerlo con una generosità estrema, che gli permette di raggiungere, senza filtri, il cuore di chi lo ascolta. credo che tutto questo sia arrivato nitidamente a coloro che, come me, hanno avuto il privilegio di essere presenti a solza. non mi resta, quindi, che consigliarvi vivamente di frequentare i prossimi appuntamenti live di paolo saporiti, aggiungendo una piccola ma sostanziosa nota tecnica: per cogliere fino in fondo l'essenza di questo artista è importante la scelta di una location adeguata, che comprenda la presenza di un pubblico educato ed interessato, elemento imprescindibile per la riuscita di una serata a così elevato impatto emotivo.
la partenza è di grande effetto, the way young lovers do di van morrison, eseguita senza amplificazione e scendendo in mezzo a noi. questa scelta, per l'intera serata contribuirà ancor di più a catalizzare la nostra attenzione. praticamente, fino alla fine dell'esibizione, rimarremo tutti in religioso silenzio, lasciandoci conquistare da un mix perfetto fra suoni e voce calda, intima, sensuale…
ritornato sul palco, paolo parte con un inedito in italiano, come sangue, anticipandoci quella che potrebbe essere la sua nuova tappa artistica: mantenere i suoni del recente disco, l'ultimo ricatto, arricchito dalle preziose incursioni sonore di xabier iriondo, raccontando storie nella nostra madrelingua. una dopo l'altra, attraverso estratti dai suoi dischi e la rivisitazione, in chiave del tutto personale, della musica dei suoi punti di riferimento, affiorano le molteplici anime di paolo. scorrono, in una strana sensazione di assenza spazio-temporale, street spirit dei radiohead, i'll fall asleep (i cui versi mi ritorneranno in mente più volte sulla strada del ritorno - i'll fall asleep in the middle of my dreams, and in-between these days i'll recall the games, that we used to play…), nella quale gli effetti sonori creano una splendida atmosfera straniante. a seguire human perversion, dal disco del 2006, pubblicato a nome don quibòl ed un altro inedito (she's my girl).
è il momento di un attacco feroce alle major, in particolare ad un "omino" della universal con il quale paolo non ha avuto un buon rapporto, in occasione della registrazione del suo penultimo disco, alone. si tratta dell'inedito, ho bisogno di te, finale in crescendo ed un tono di voce che diventa provocatorio e quasi minaccioso ("io saprei cosa dire, io saprei cosa fare, per venirti a cercare…").
poi arriva erica, un altro pezzo in italiano che paolo ha scritto parecchio tempo fa e non ha mai pubblicato. ci confessa che avrebbe voluto portarlo a sanremo, "sarebbe proprio adatto, e non è escluso che un giorno ci arriverà…".
scorrono altri brani dai suoi due dischi più recenti, nei quali, spesso i "loop" e gli effetti creati dai pedali sulla chitarra e sulla voce, ci attraggono verso mondi ricchi di sfumature diverse. il tutto, continuando a mantenere teso il filo del racconto musicale, nonostante tra il palco e la sala ci sia una curiosa rete rossa che, apparentemente, potrebbe creare un certo distacco. rapito da questa atmosfera magica, perdo il conto dei brani.
vengo poi catturato da gelo, unico pezzo in italiano finora pubblicato, che, paolo ci spiega, è stato scritto quando il discografico universal gli disse che gli era molto piaciuto l'album de le luci della centrale elettrica. anche qui la performance è dirompente e graffiante : "ricordi, che al tempo del grano, correvi veloce, lontano dal male, lontano dal gelo, che toglie il respiro, anche quando non c'è, forse il male non c'è, quando il bene non c'è, forse il bene non c'è, quando il male non c'è...".
i minuti scorrono, le chitarre si scordano, un pezzo non vuole uscire. si arriva ad una splendida cortez the killer di neil young, fino al finale intenso e commovente: hallelujah di leonard cohen, cantata per celebrare un lieto evento: il cantautore è diventato zio, da poco. dapprima timidamente, poi più decisi, ci uniamo tutti in coro per il gran finale.
saporiti scende di nuovo in mezzo a noi, che lo accogliamo con qualche sguardo lucido e sorrisi compiaciuti e grati per l'emozionante serata. sei anni di psicologia, cinque anni di teatro: si sente che questo songwriter milanese è un instancabile viaggiatore dell'anima, che coltiva senza compromessi, il proprio percorso di crescita personale.
la sua unicità consiste nel condividerlo con una generosità estrema, che gli permette di raggiungere, senza filtri, il cuore di chi lo ascolta. credo che tutto questo sia arrivato nitidamente a coloro che, come me, hanno avuto il privilegio di essere presenti a solza. non mi resta, quindi, che consigliarvi vivamente di frequentare i prossimi appuntamenti live di paolo saporiti, aggiungendo una piccola ma sostanziosa nota tecnica: per cogliere fino in fondo l'essenza di questo artista è importante la scelta di una location adeguata, che comprenda la presenza di un pubblico educato ed interessato, elemento imprescindibile per la riuscita di una serata a così elevato impatto emotivo.
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